REPORTAGES CLINICI di MARK BEDIN

Nel complesso panorama della poesia italiana del terzo Millennio, non è facile trovare una linea comune di fronte al bailamme linguistico che imperversa nelle librerie e nel publishing con vistosi attacchi dissociativi contro la Tradizione.

A sviluppare questa rimozione dal Passato non sono pochi coloro i quali aderiscono ad una cultura di occupazione abusiva del territorio poetico, dove a prevalere restano il vuoto, e l ‘inconsistenza estetica  dei lessemi, gestiti da una gerarchia di autori sempre in continua disputa sui poeti antichi e moderni.

Il tutto come ossessione della ricostruzione della parola, nella piena povertà delle esternazioni. E’, in altre parole, il collocarsi da un’altra parte della civiltà letteraria rendendola priva di avvenire, nella più completa autonomia e dissonanza, per mettere in crisi la poesia in un periodo in cui la sua esternalità si rende necessaria e utile, a monte della pandemia e del lockdown. Tutto questo per saldare una paratassi statica, senza comunicazione alcuna con il lettore.

La forma linguistica nell’età multimediale si offre al mercato tramite  il dominio pubblico gestito dalle case editrici importanti, sebbene la critica ufficiale si sia eclissata, piuttosto che stare dietro ad un clima di tipo strutturalista semiotico, di smembramento culturale, lasciando il postmoderno e gli ausiliari della poesia Kitchen nei loro magazzini pieni di settenari, e relativi alla molteplicità di argomenti contaminati dal Nulla. Il minitesto è  quasi sempre a-razionale dentro e fuori la trasmissione del pensiero. In questo furore ideologico si percepisce la prostituzione della poesia che è ben altra cosa in questi tempi di massacro e di realismo visionario. Il poeta sa di essere un fuoriuscito, e per questo esterna le sue ossessioni senza preoccuparsi della esagerazione estetica e nullificante.

Oggi portiamo in lettura un volume di Mark Bedin dal titolo REPORTAGES CLINICI, con prefazione di Diego Riccobene, che classifica come il “secondo sforzo letterario dell’autore che muove il passo dal presupposto del passato”.

La storia della letteratura non può perdersi nel vuoto, andando avanti nel corso dei tempi, tralasciando la traccia delle ere storiche come il Medioevo, la Civiltà Comunale, l’Umanesimo e ciò che riguarda la cultura classica fino al postmoderno. Sono fenomeni e processi strutturali che segnano le ragioni del nostro vivere e delle situazioni reali e concrete in cui l’umanità si è scontrata. Per intenderci il problema fondamentale di un poeta è la libera espressione del verso per la conoscenza della storia e del mistero dell’Essere.

Con quest’opera Mark Bedin, credo sia uno dei pochi poeti di oggi,  che si ricongiunga a un frasario policentrico, con una traccia di versi congiuntamente ibridi, letteralmente regolarizzati  dai vari residui della tradizione poetica e di cultura classica.

Un mix di linguaggio moderno e desueto, a volte tecnico in una poliscrittura di varia ambientazione,  frazionata da modulazioni eterogenee, variabili e aperte a diverse finestre, caratterizzano l’intellettualità di Mark Bedin, che costruisce ponti di collegamento con il passato e il postmoderno.

Non esiste nessuna novellistica o letteratura moraleggiante. Sono i sintagmi ad operare all’interno di camere colme di strumenti volti ad una implantologia del corpus poetico, al fine di tenere in platea un alto numero di lettori possibile.

A un primo punto di vista la poesia di Mark Bedin lascia il lettore in un semibuio psicoestetico dove alla fine sembrano collocarsi “quei tormenti metrici e linguistici portati in avanzamento da Lello Voce o Gruppo 93, che 93 non è, essendo nato nel 1989: un mosaico di forme e testo di carattere fluido. Recuperare la Tradizione a proprio piacimento, significava indicare l’evidente mancanza di un orizzonte comune. Tradizione e Avanguardia si giustappongono ormai senza conflitto, con linguaggi ornamentali e reciprocamente innocui”.(1)

Una poesia congiuntamente paleografica e moderna,  si direbbe, dopo la fine della lettura,  se non acrobatica nel momento in cui il linguaggio si duplica in varie scansioni e il lettore si trova così a interpretare i referti clinici e psichedelici. (Mario M. Gabriele).

(The Wise Magazine. Settimanale on line di approfondimento culturale e informazione del 20 Aprile 2020).

 

XXIX

Cui prodest scelus, is feci;
profanar il martirio ch’è passo pass-so
cadenza; questo strozzinaggio di retorica
bellica ne addensa un’esigente
                                     prospettiva
di cosa sia o non sia l’esistenza.

Sia l’insurrezione: il calco che non c’è;
la sommossa, semi-mozza, pure, non persiste
che nell’oblio e ravvisarla comporta
                                     il tropismo proprio del girasole.

 

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