Remainders (2021) – Selezione –

PREFAZIONE DI GIORGIO LINGUAGLOSSA

 

Caro Mario, la tua pop-poesia possa essere letta da chiunque eserciti una professione utile ma non da un impiegato della pseudo cultura… un negoziante, un orologiaio, un barista, chiunque tranne che da un letterato.

In distici o in tristici o in quadristici il tuo è un discorso sulla tristizia del linguaggio de-politicizzato che usiamo tutti i giorni. Il fatto è che quel linguaggio si è decomposto già da tempo, la decostruzione è già avvenuta e avviene continuamente tutti i giorni e tutti i momenti ad opera delle emittenti dei media che emettono vomito profumato in miliardi di esemplari. Ma, gratta gratta resta vomito. E tu, da poeta sub-atomico, lo metti in evidenza, non fai nulla per nascondere, dissimulare o vestire il vomito.

 

Anche in queste cose

ogni discorso diventa un percorso.

 

Bisognerà chiedersi se la museruola lasciata al bulldog

rientri nel silenzio dell’Essere

 

Andiamo tutti quanti in giro con una museruola, solo che non ce ne accorgiamo, diciamo frasi fatte, frasi obbrobriose per la loro insignificanza. Tutto ciò «nel silenzio dell’essere». Non è drammatico se non fosse comico? Drammatico e demiurgico e demoscopico con un algoritmo che decide del nostro linguaggio de-politicizzato profumato all’aloe. È che «l’essere svanisce nell’Ereignis», «l’essere svanisce nel valore di scambio», ha scritto una volta Heidegger. Davvero, una frase così potrebbe sottoscriverla un filosofo marxista e verrebbe tacciato di estremismo infantile. E invece l’ha scritta Heidegger.

Se consideriamo la nota tesi dell’esteticità diffusa propria della post-modernità (da internet all’arte pubblica, dagli spettacoli sportivi al design, dalla moda alla pubblicità, ecc.), l’idea di poiesis che ne deriva è un’arte come capacità di formazione di campi di comunicabilità e di intersoggettività, tesi che non può essere accettata se non come principio trascendentale di possibilità. In tale accezione, la tua è una operazione di disattivazione del linguaggio ordinario e comunicazionale per convogliarlo in una nuovo campo intersoggettivo dove quel linguaggio viene denudato e riportato allo stato nascendi, spogliato delle sue proprietà della falsa comunione e comunicabilità.

 

Una rapida ricognizione nella nostra libreria, ma anche uno sguardo superficiale alle esperienze artistiche del Novecento (la musica atonale, l’arte concettuale, il ready made, la real thing etc.) può farci facilmente capire che l’arte si riferisce semprea paradigmi, grammatiche e valori condivisi. Talvolta questi valori sono labili e mutano molto velocemente, altre volte sono più stabili. È che da molto tempo non abbiamo più una tavola di valori stabili e condivisi. In tal senso, l’idea kantiana del sensus communis può essere accettata, una volta sgombrato il campo dalla desueta teoria delle facoltà dell’animo, per pensare l’arte non sulla base di un mondo fattuale e istituzionalizzato, ma in virtù delle sue capacità di istituire mondi possibili di comunicabilità. Questo è il principio trascendentale dell’arte sul quale è incardinata la proposta di una poetry kitchen. Il trascendentale che tu poni in essere è la nuova comunicabilità intersoggettiva di un linguaggio de-soggettivizzato ad algoritmo non più significativo che tu trasponi e traduci in nuova comunicabilità intersoggettiva. Il trascendentale intersoggettivo della tua poiesis può significare l’idea della genesi della condizione di possibilità in quanto condizione di possibilità di un campo di linguaggi denudati e mutilati che vengono dis-attivati e ri-attivati in un nuovo campo gestaltico qual è la poiesis. E questo è il luogo dei tuoi sintagmi presi come ready made, come real things che entrano in un nuovo campo linguistico intersoggettivo.

Una volta affermata la «fine della storia» e il tramonto della metafisica, insistere sulla ricerca di unanuova definizione dell’arte significherebbe commettere una contraddizione insanabile: riutilizzare le categorie metafisiche dell’estetica moderna dopo averne argomentato l’inefficacia e dichiarato l’esaurimento, e infatti la nuova poiesis non va definita in alcun modo se non come attivazione di un nuovo campo di possibilità comunicazionali, una nuova Gestalt.

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Retro di Copertina di Remainders

Che cosa sia la poetry kitchen lo dice bene la poesia di Mario Gabriele, il capostipite di questo genere di poesia. Poetry kitchen è tutto ciò che resta nella dispensa, nei cassetti dimenticati del frigidaire. Possiamo a ragion veduta dire che Mario Gabriele è hölderlinianamente, pieno di merito e poeticamente abita la terra, proprio come la gallina della cover della poetry kitchen, che becca il mangime lasciato cadere per terra dagli umani. Oggi il poeta è diventato non più e non solo uno «straccivendolo» ma anche un ladro di becchime, usa le parole a perdere della civiltà dello spettacolo e del consumo e le reimpiega; oggi la poesia è un oggetto-da, è fatta da oggetti-da, che provengono dal ciclo della produzione e della sovrapproduzione per finire nella pattumiera che segue al consumo, in questo modo la terra può essere di nuovo abitata e resa abitabile, le parole anche possono essere rese abitabili una volta recuperate e riciclate dalla loro opacità e insignificanza. Banditi per sempre l’epifania, il quotidiano, il sublime, il genere elegiaco con gli ideologemi collegati con chihuahua e smart working, ciò che resta lo fondano i poeti nell’«universo in espansione» con la «porta principale bloccata». Dall’implosione dell’ordine Simbolico quello che ci resta è il misto fritto di una poesia fatta «con uno specchio retrovisore/ recuperando figure in bianco e nero», «gostbusters» e «ologrammi».

Commento di Marie Laure Colasson

Una poesia che ci porta dirimpetto al fondo che fa da sfondo del nostro modo di vivere, una poesia altamente civica perché corrisponde al numero civico che abitiamo, un numero ipoveritativo perché corrisponde alla nostra esistenza privata e anonima, anonima in quanto privata, anonima in quanto distopica. Un pittore come Edward Hopper  trarrebbe vanto da queste poesie, paralipomeni del vuoto a perdere come una scatoletta di Brillo box di Warhol, un aperitivo Crodino o un apericena delle 18.00 in punto quando scocca l’ora della libera uscita degli impiegati dagli uffici. Mario Gabriele quale capostipite della poesia kitchen italiana dà qui il meglio di sé, con una auto ironia affilata quanto inquietante ci conduce nel rumore delle parole, perché la poesia kitchen è solo rumore di fonemi, una rumoresque, rumore di ferramenta, un rumoreggiare non più pallido e assorto, non c’è alcun pallore in queste parole ricche di bric à brac, di monemi e di lessemi di provenienza angloamericana. Ne esce una lingua in volgare, un italiano che non sai se sia una lingua smarrita o una lingua ottusa, pervasa da forestierismi e da innocui bellicismi vocali. Un linguaggio poetico tattico e paratattico che ha smarrito il suo luogo, che forse non ha mai avuto alcun luogo e ha del tutto rinunciato al luogo e al logo. Una poesia ilarissima perché tristissima. Un tristissimum eloquium. Un vaniloquium.  Mario Gabriele ha preso atto che il disordine permanente che attecchisce alle percezioni dell’uomo di oggi è costitutivo del suo essere-nel-mondo, le messaggerie del mondo social mediatico con le sue innumerevoli emittenti ha preso definitivamente possesso dell’ordo idearum dell’homo sapiens, e così replica con una poesia rigorosamente organizzata in polimeri paratattici e disparati, distici un tempo prerogativa del classico vengono catapultati in una organizzazione caosfonica, cacofonica e caosferica. Una tipica poesia della fine dell’epoca della metafisica. Scrive Paul Valéry al Collège de France nel  1937: «Diversi indizi possono far temere che l’accrescimento di intensità e di precisione, così come lo stato di disordine permanente nelle percezioni e nelle riflessioni generate dalle grandi novità che hanno trasformato la vita dell’uomo, rendano la sua sensibilità sempre più ottusa e la sua intelligenza meno libera di quanto essa non sia stata».

La poesia di Mario Gabriele prendiamo atto che siamo arrivati a buon punto nella discesa nel nichilismo. Nella sua poesia cogliamo la poesia nel punto più profondo di quell’auto annientantesi nulla nel quale consiste. Gabriele intende bene che non c’è nulla di serio nel Museo delle collezioni, il nostro mondo è diventato un Museo delle ombre (le collezioni) che comunica con il Museo della spazzatura, C’è un collegamento tra i due Musei. E’ l’eleganza con cui Gabriele pone nel nulla il nulla ciò che fa la differenza… mai una parola, una allusione sulla sua persona, all’io, mai un accenno a quell’involucro che contiene il nulla, con buona pace del pericardio accarezzato e coccolato dai poetini del pericardio e della pericardite e della peritonite. Dalla lettura di questa poesia ne usciamo fortificati, ne esco fortificata. Lo stesso mi accadeva quando leggevo la poesia di Mario Lunetta, e bene ha fatto Vincenzo Petronelli a ricordarlo. Lunetta è stato probabilmente il poeta italiano più importante dopo la generazione dei Pasolini. Auguro a Mario Gabriele di poter essere riconosciuto non soltanto da noi abitanti dell’Ombra ma anche dagli abitanti dello stivale poetico come il poeta più importante di questi ultimi decenni, so che quel che dico risulterà ostico all’uditorio dei poeti del pericardio e della pericardite, ma è quello che penso.

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Letizia Leone

La poesia di Mario Gabriele si manifesta quale unico corpus esorbitante e anomalo nelle poetiche contemporanee, atto artistico e filosofico, o per meglio dire estetico, meta-poesia e gioco d’artificio epistemologico di profonda portata ontologica. Poesia dal futuro, di chi si è tirato fuori dall’emergenza storica, e guarda a distanza dalla prospettiva del drone che sorvola le “diescta membra” della civiltà umanistica e artistica novecentesca. Eppure qui si tratta di “rimanenze” fossili, sebbene così contigue ai nostri indirizzi, alle nostre abitazioni culturali. Poesia civile in quanto caricata di tritolo critico pronto ad esplodere. Scrive bene Marie Laure Colasson: «una poesia altamente civica perché corrisponde al numero civico che abitiamo, un numero ipoveritativo…». Poesia dal vuoto, anzi frivolezza del déjà-vu, direbbe Baudrillard. Poiesis confinante, come scrissi in altra occasione, con esperienze artistiche contemporanee di matrice neo-concettuale, si pensi a certi esperimenti di Anish Kapoor, alla monumentale messa in opera del vuoto delle sue sculture, per esempio. Eppure sostanzialmente diversa: ogni sintagma, frammento, citazione implicita od esplicita, registrazione o traccia comunicativa, (cesellata dalla materia grigia di una continuata interferenza cacofonica di comunicazioni “usa e getta”) è frutto di grande perizia poetica. Una consapevole «decostruzione riflessiva» come ha scritto Linguaglossa (che ha il grande merito di un profondo lavoro ermeneutico sulla poesia di Gabriele). In “Remainders” si opera per riciclaggio di scarti e materiali inerti ma anche di simulacri e prodotti, e la Poesia Kitchen, trafugando simboli, marche di prodotti, fantasmi, cartoni animati potrebbe funzionare come un’analitica strutturale nel nostro esistenziale.
Perfezione delle forme effimere. Efficacia del paradosso: nel ciclo delle apparenze (e nella moda), scrive Baudrillard, si ritrova quell’innocenza che Nietzsche attribuiva ai greci: «loro si sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie; all’increspatura della scorza, adorare l’apparenza, credere a forme, suoni, parole (..) Questi Greci erano superficiali – per profondità!».
Allora buona vita al grande Mario Gabriele!

Un giorno ideale sarebbe come il Mistero buffo
di Majakowskij.

Abbiamo dovuto rimandare ad altra data
il fumo degli arrosti.

Questa estetica del Nulla fa risvegliare Fedro e Felix Vargas.
Si vis pacem, para bellum.

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Jacopo Ricciardi

Se l’ego dell’autore scompare o semplicemente è assente, è chiaro che le parole e ciò a cui si riferiscono sono immediatamente loro stessi, liberi di esistere con il loro universo specifico di ‘cosa’ sola. Così non essendoci più l’ego che le sminuisce, le parole e le ‘cose’ cui si riferiscono offrono esattamente se stesse, sole, isolate, universali frammenti, di una concretezza che sposa la ‘cosa’ della parola e che è ‘cosa’ di una realtà vera. Verità che si realizza concreta e fisica, attivando i sensi, proprio perché l’essenza di quanto materialmente esiste è in realtà mentale. Quindi la mente incontra se stessa in modo tanto naturale in un frammento di Mario Gabriele, che la cosa del frammento è mentale ma anche fisica nella materia attraverso la mente. Ma non c’è fine nella concretezza tout court, bensì questa è talmente naturale e concreta mentalmente che fa sentire il luogo della natura mentale in cui i frammenti e le ‘cose’ nascono. La falsità è definitivamente vera, e la mente si libera e prova godimento, questo accade alla lettura di una poesia di Mario Gabriele.

I fatti raccontati da questi versi accadono nell’indeterminatezza della mente, e non hanno la determinatezza univoca (temporale e spaziale) di un fatto materiale raccontato nel mondo univoco fuori dalla mente. Fuori dalla mente le cose accadono con precisione e unicità, bloccate in un tempo e uno spazio. Invece nelle poesie di Mario Gabriele i fatti appaiono senza quella determinazione univoca esterna, ma appunto appaiono in una perdita di tempo e di spazio, e in una possibilità di tempi e di spazi, ogni ‘cosa’ può essere un’altra ‘cosa’, eppure “Fermati Klaus. Rallenta il passo.” primo verso della poesia 36, o “Doctor Smith vuole la ricetta elettronica?” primo verso della poesia 37, o “Ormai sta diventando un’abitudine.” primo verso di 38,  o “Un giorno di ectasie e caffeina” primo verso della poesia 39, o “Una Jeep Renegade ferma davanti alle VideoNews.” non hanno niente di particolare e niente in questi versi ci aiuterebbe a capire la loro particolarità. Tenendo conto che spessissimo i primi versi di ogni breve strofa non brillano di alcun particolare creativo. Sapere che sono dei frammenti con tutta l’importanza che gli si attribuisce teoricamente non aiuta l’esperienza di letture di questi versi. Eppure questi stessi versi hanno sfumature che li rendono vivi nella mente. Ma come raggiungere questa vitalità (ebollizione) mentale che procurano? Essi sono frammenti già da soli ma lo divengono sempre dal salto impossibile che li lega al secondo verso e oltre nella stessa frase o in più tronconi di frasi. Per esempio “Un giorno di ectasie e caffeina/con il lato oscuro delle metamorfosi.” dove le ‘cose’ tra un verso e l’altro iniziano a formare una rete neurale tra loro nel vuoto mentale che viene abitato. E tanto è il vuoto che c’è tra i due versi che restano connessi che essi fanno apparire il vuoto tra le parole e le ‘cose’ dei versi, e ogni verso si popola di possibili (mentali) connessioni neurali. Un salto mentale tra primo e secondo verso genera salti mentali tra le ‘cose’ parole. Queste connessioni neurali tra parole si scambiano e mutano e si rinnovano; si arriva a un punto nella rilettura in cui la parola “oscuro” del secondo verso popola l’oscurità della mente, colta nella sua concreta dinamicità.
Ogni strofa è autonoma e trova nei versi successivi al primo il motore di connetterli nella mente come fattori mentali, come ‘modi’ mentali. Quindi questo tipo di poesia richiede l’attivazione della mente come spazio autonomo e vivo e visitabile e abitabile con la poesia. Il testo insegna alla mente ad aprirsi in quanto luogo o vuoto, e in questo stato di mente aperta e viva il testo funziona immediatamente come fatto di rigenerazione neurale tra le ‘cose’ parole. La lettura a questo punto è immediata nel godimento della mente che gode di se stessa. E mai si stanca di questo processo perché Mario Gabriele adotta una impossibilità di contatto di senso tra versi, o brani di verso e parole, che generano i frammenti, che strutturalmente non è mai uguale e varia, per esempio addirittura “Ieri sera con l’amico Perry/siamo stati a vedere il ponte di Genova.” dove la strofa è plausibile nel senso, ma se messa nello stato di apertura del vuoto della mente già il nome Perry si dissolve per tempi e spazi perduti e come tale si mostra attivo, la “sera” la mente la sente come connessione instabile e pluri concreta, e il “ponte” è diviso in tre nel tempo tra i due ponti (prima del crollo e ricostruito) e il ponte distrutto e il tempo stesso è trino (fuori da ogni religione), oscillante tra l’uno e l’altro, e questo non sapere il tempo li tiene tutti e tre a galla nella mente, e la mente respira una propria aria naturale di verità.


1

La Signora Mansfield twitta con i crickets
per non sentirsi sola nel lockdown.

Basterebbe che qualcuno  le dicesse:
-suvvia, Madame, fra poco è primavera!-

Ogni casa ha fiori, e tabernacoli d’incenso,
bulldog a guardia della porta.

Il Madison Square ha cambiato sede.
Qualcuno canta Smile.

Dopo aver sopportato il bisturi del giorno
si ricomposero carne e ossa.

Cosa vorrà dire la frase alla lavagna:
-Welcome, Professor.-
-Mi pare d’essere  entrato a Fort Knox, o mi sbaglio?-
-E’ tutta  roba tua e… di Pussy Yonder?-

Svolazza  Giose nei cieli di Topanga Canyon,
mentre dorme Sonny Boy con Jazzymood.

Si riaffaccia la quaresima.
A Pasqua la torta green è un oppio vegetale.

Ei- bi- si-di: prima lezione di Camilla Sfera
per imparare l’alfabeto inglese e chiedere a Shakespeare
-to be or not  to be today?-

Non mettere Hewitt nel giorno del tuo compleanno
i cristalli Swarosvscki, pare che attirino i turisti dell’aldilà
più del viso di Denise Levertov.

2
Thomas non ama il sound all’aperto,
per questo gli piace restare a casa.

Timothy lo guarda di traverso,
sa che è difficile parlare con un eretico.

Le sue letture non sono mai andate al di là
Gli ultimi fuochi di Elia Kazan e dei romanzi di Wilson Tucker.

C’è un processo  creativo in atto
che non disdegna il manuale di sceneggiatura.

Potrei  rifarmi al Cristo di Pasolini
puntando anche su Carne tremula di Pedro Almodovar.

Milena, chiedi alla luna se ci sono ostacoli.
Questo per noi è un momento magico.

Da un altro lato della stanza
Baltus si versava da bere.

Lo lasci fare, disse il barista, altrimenti qui
non si ferma più nessuno.

All’esterno del negozio scatolette di Arcaplanet
e operai con cartelloni come nella Detroit degli anni 60.

Skelly seguiva la moda del Pianeta Donna
curando l’asma con l’aerosol.

Le vie sono deserte. Danno brividi anche se c’è il sole
e le civette non squittiscono più.

Guardo la stanza di Van Gogh
prima che venga il sonno.

E’ luminoso il lampo narrativo
intriso di fibrinolisi poetica.

Ci vorrà del tempo per una soluzione in copyright
per sanare gli anni, tutto il novilunio.

3
Scegliemmo il Flat Design per l’ultimo libro.
Il critico curò la Premessa.

La piattaforma nucleare della parola
salì in superficie come evento.

Kathryn si mise il foulard
portandoci  il caffè semifreddo.

All’esterno del bistrot passarono i pensieri
con le dovute grazie della sera.

Primo Piano. Universo in espansione.
Porta principale bloccata.

Bessy usava le calze di seta:
bellezza maturata nel giardino.

Oh, mio fiore urbano,
temo il tuo inverno, la rappresaglia della natura!

Una radio trasmetteva musica pop
con le Country Sisters.

Ritornammo al passato con uno specchio retrovisore
recuperando  figure in bianco e nero.

Nessun paesaggio hollywoodiano,
nè colpi finali da Blade Runner.

Secondo piano: Rosalinda, segnata dall’insonnia,
se la prese con l’orologio a pendolo.

Una bella sorpresa per i gostbusters
non trovare gli ologrammi per la strada.

Luiselle si fermò lungo il ponte della Senna
leggendo Boule de suif di Maupassant.

Lei, –Piccina, tutta tonda, grassa grassa,
con le dita rigonfie strozzate alle falangi-.

Ecco, disse Hermann,
questa donna è stata anche a Dachau.

Un mese tra posters e lamenti di chihuahua
con serenate all’aperto e Smart Working.

4
L’occasione era buona per parlare con Ofelia,
togliere a Snoopy il dente cariato.

Ci voleva un po’ di tempo per rimanere in silenzio.
Buonasera Signorina. E’ in cerca di qualcosa?

Mi scusi, conosce un certo Signor H, Cantante e Deejay?
Da anni non so più niente di lui.

Ogni sabato c’è un happening musicale.
Può provare a fare indagine alla King Dom House.

Sono nomi di autori di musica e personaggi storici come Hermet.

Non li troverà più qui. Sono tutti morti.

Bisognerà rifarsi a ciò che hanno lasciato nel jukebox
o nelle biblioteche di città.

Sa, in questi tempi di oscura metamorfosi
ci sono ricambi di estetica che nessuno più segue.

A me, interessava il Signor H,
comunista alla Horkheimer.

Barista, pronto a mettere il cartello Closed.
Mi dispiace, devo andare, disse.

Resti, la prego, lei e un gentleman
di quelli che se ne trovano pochi in giro.

Ho visto attaccati ai muri modelli e simboli,
diagrammi e disegni di un tempo che fu.

Ha qualche rimpianto? O teme per il suo futuro?
Basterà rifondare L’Institut fur Sozialforschung.

Beh, disse il barista, certe cose o hanno fortuna
o mutano e si fanno oggetto di verificazione alla Popper.

Oggi le Borse vanno giù.
Non si salva nessuna Society o startup.

Si ricorda l’operatore che prometteva vacanze
ai Caraibi se avessero seguito i suoi consigli?

Per grazia di Dio sono qui come le ho detto
per conoscere il Signor H e bere un coca cola.

Diciamo che sono stata imprudente
e che il signor H doveva restare chiuso in me.

In passato non sfuggivo a nessuno
nemmeno alla morte degli altri.

Ma per H tutto significava per me:
amore, HI-FI, Count Basie e Eagles e Hotel California.

Conosco il suo rammarico. Non vada oltre.
Le offro un Martini Dry, anche se è un veleno!

Staremo un poco insieme come Beckett
à La Closerie des Lilas.

Entra un gruppo di signori.
Sono fantasmi, lampi di luce.

Sembrano Prufrock ed Eliot,
due gendarmi della Rivoluzione francese del 68.

Lei, Signorina, ha buon gusto ad averci ricordati.
Senza di noi non esiste neanche il Nulla.

Ci fu chi domandò -chi c’è là nel metamondo?
E Linda è vero che sta con voi?-

Si era spezzato il dialogo con gli altri.
Né vennero al cold reading  il Dr. Gary e l’umanista Schwartz.

Tutti smarriti in un viaggio, chi a bordo delle navi,
chi su malferme barcarole.

5
Andando per vicoli e miracoli
ritrovammo l’albergo e il trolley.

Non si dà nulla per certo, neanche prendere contatti
con il gobbo di Notre Dame per suonare le campane.

Bisognava partire.
Tu non vuoi più le carezze?

Il fatto è che se ci mettiamo a seguire Ketty
non leggeremo  Autoritratto in uno specchio convesso.

I Simpson si riconoscono per il colore giallo.
Giulia ne ha fatto una raccolta di figurine acriliche.

Tutto rotola e va in basso. Sale e scende.
Linee nere e linee rosse.Si cerca il punto originario.

Cerca di distrarti un po’. Prova a chiamare
le cugine di Sioux City.

Ti suoneranno  l’ukulele
ricordandoti  C’era una volta l’America.

Oh bab, baobab, gridò il nigeriano
alla fermata del Pickup.

Controlla tutto e bene nel trolley.
Vedi se c’è  anche questa sera il Roipnol.

6
Dalle cinque alle sei del mattino
sempre in dormiveglia. 

All’alba ci muoviamo per la caccia ai lupi mannari
e ai sacchetti di speranza.

Ce la fai da solo?- Si.
Grazie! Fammi compagnia.

Vedo immagini passare come Mary Poppins.
E’ quanto di più raro mi rimane del tempo passato.

In questi agglomerati urbani non puoi chiedere
a nessuno la strada di un nuovo battesimo.

Il Naprosyn mi toglie la sindrome radicolare
simile ad una stagione all’Inferno.

Beata te, Vanessa, che cogli le rose e i tulipani
nella serra di Nonno Vincent.

La nostra questione
rimane un olifante senza voce.

Maglie, camiciole, pezzetti di hamburger,
terreni essiccati che tornano ad essere vivi.

Forse hai dimenticato qualcosa. Che cosa?
La brunetta che ti adocchiava come in un outlet.

Era la cucitrice di sogni in bianco e nero.
Questione di opinione!

Ciò non spiega l’allume di Rocca,
la barba di Marx e Senofonte!

Vivere a caso ci fa star bene
come un torroncino a Natale.

Il Corriere dell’Inferno scorrazza da New York
ai ghiacciai dell’Antartide.

 Mondo sii buono!
E’ questo il mese della primavera!

7
Un cocktail di Bull Shit inaugurò l’anno cinese delle candele.
Ci minacciavano Star Wars e L’Uomo che fuma.

Così rimanemmo al tavolo con Sara e Dora Moore
pensando allo scacco matto.

Cara Ketty, sono 14 anni che non mi muovo più dal letto
e ho le allucinazioni durante il giorno, disse Arianna.

C’è un esercizio, una specie di Yoga,
che si attacca al passato come il silicone.

A giudicare  le cose come sono andate,
basterebbe che la luna se ne stesse un po’ in disparte.

L’occasione è buona
per dire: Lieber Freund wie geht es dir?

Sembra che Padre Michell, non voglia liberarci dal male
perché legati alla Passione, secondo Madame Bovary.

Sissy non si fa più sentire. E’ caduta nel disincanto
in una stanza di Prinsengracht 263.

Da inizio Gennaio fino alla quarantena
Ghebby ha seguito l’andamento dell’universo digitale.

Ne sa qualcosa Keurin dal suo paesino nella Brianza
che accomuna, mese dopo mese, remainders.

Nessuno sa come prendere un vagone,
ricordare  La relatività  con le 4 stagioni di Durell.

Kessy ha conseguito la laurea in modalità telematica
chiudendo l’esercizio accademico 2015-2016.

Oggi compie gli anni. Le presenterò mammy,
in photoshop, come quelle in bacheca a Bergen Belsen.

8
Il grattacielo era diventato un bosco verticale.
Rifacemmo il cammino a ritroso
per vedere  i fotogrammi di Free Zone.

Un libro senza futuro
trovò negli youtuber la strada per la Ue.
Pietà, Signore, quaranta racconti non spiegano il mondo!

Quando Mc Dory non è in vena
cerca Il colore venuto dallo spazio 
per chiedere identità e Soccorso Alpino.

Oggi riapre l’Hangar Bicocca
dopo i bollettini da Horror Stories.

Mi creda Madame Soleil
è come vivere in penombra la vita
condannata in esilio.

Chiusi i negozi ci fermammo sotto i giardini pensili
tra foglie di mirtillo e di genziana,
dopo aver visto Domino di Brian de Palma.

Solo una donna e uno chef possono mettere a posto
tovaglioli e bottiglie Montelvini,
e non una strega finita la cena.

Miss Vanderberg  lavora tre giorni  la settimana.
La sera legge Camus per non ricorrere ai miracoli.

Vorremmo andare in diretta streaming
a spiegare cinquanta sfumature di rosso melograno.
Tu ci verrai, vero? senza chiedermi pareri su Boss Magazine.

Erika vorrebbe un design tutto per sé:
una specie di Bacio alla Klimt.
Sa che ogni forma con il tempo diventa un poster.

Oh, my mouse, ovunque giri
c’è sempre una storia di sepolcri e open day.

Nella casa in via Lombardia
siamo rimasti in pochi a ricordare gli Splatterpunk.
Di tutti i fantasmi, solo nonna Eliodora ci porta disfanie.

9

Ciò che Orlock disse fu: Gratia vobis et pax
facendo frullare le ali delle rondini sul sagrato.

Giuda attese che lo chiamassero al Palazzo di Giustizia
dove c’era un bodyguard con la tagliola in mano.

Avete mai visto un uomo crescere nel pantano?
domandò Padre Cruz ai missionari nel Wuhan.

Abbiamo bisogno di un sofà con lenzuolo di seta
e 10 bicchierini di Gentleman Jack.

Il tuo viso non necessita di Chanel.
Ti toccherà tornare al passato rubando Le Illuminazioni.

Le cose come sono viaggiano a tradimento.
Ne parleremo con il Giudice al Processo.

Ci ha pensato anche Jan Bruegel, il Giovane,
con il Paradiso Terrestre alla Gemaldegalerie di Berlino.

Qualcuno si fermò nel concerto dei Pink Floyd
dicendo: Achten Sie auf den Winter!

I falchi passavano da un ramo all’altro
come pensieri senza sponda.

Niente  più veniva alle porte del mattino
se non l’ombra del verbasco su un futuro da epitaffio.

Su tutto echeggiavano le parole di Franz Wertmuller
-Oh, la soupe à l’Oignon Gratinée!-

10

L’accusa non aveva presentato
il ricorso incidentale.

Klaus non ebbe nulla da dire
se non che la Regina delle Fiabe fosse in fase terminale.

Ci avviammo verso la chiesa con le bare a tenuta stagna
benedette con l’acqua piovana.

Curioso, Signora Brent, che questa sera
non dica le preghiere ma la Profezia di Malachia.

La caldaia è andata in tilt.
Bisognerà azionare il reset per darle nuova vita.

Si sospetta che il pastore 
abbia avuto poca fede nell’aldilà.

Fra tutti gli influssi malevoli nella Casina delle Rose,
ne trasse uno a dimora costante.

Il fumo di Mindobamba avvolse Quito nelle tenebre
lasciando un intero paese nell’Emergenza.

Qualcuno ne fece una storia
con il titolo: –Il paese dei ciechi-.

Sì, mia cara Pussy, i Capolavori sconosciuti
devono ancora apparire nei Meridian Books.

I poeti ci stanno dietro col pensiero
come fossero Minnie e Selly.

11
Bonne Nuit Madame O’Brien.
A chi ha dedicato il nuovo libro?

 “A’ mon père et mon fils”.
E’ finita la partita a scacchi.

La dama del futuro aveva predetto un viaggio a Londra
ma nulla è avvenuto se non il cambio di stagione.

Comunque sia, è stata una fortuna
rifare il cammino à rebours.

Sì, forse, ma nulla toglie di non essere riusciti a trovare
The King e il Covent Garden.

Rividi Rossana a Bologna.
Aveva ancora i pronostici della vita favorevoli.

Tom è un bambino autistico.
La madre dice che è stato uno scherzo della natura.

Caro Romeo,
non vorrei che fosse un j’accuse!

E’ necessario far fuori i serpenti a sonagli
e le meduse,  i pipistrelli e i cimiteri del mondo.

Non si può, disse Padre Orwell,
è stato già tutto scritto.

Ci  dividiamo la notte senza grandi perturbazioni.
Domani, cominceremo di nuovo a fare il giro del lazzaretto.

12
Scatti di flashback
nel Giorno della memoria.

Calmati, Jhon! Dannato come sei
potresti finire tra le pene dell’Inferno.

Oltretutto mi chiedi se è un assassinio omologato
quello di Adso da Melk nel Nome della Rosa.

Usciamo all’aperto.
Chiedi a Rosmina se ha ancora il bikini di Trussardi.

Venire qui, a caso,
è un bel cubo di Rubik.

Donna Evelina ha le aritmie.
Teme la limousine della ditta Orlof’v.

La poesia somiglia a Mistinguette:
va e viene come turista sulla MSC.

Come fai a dire questo?
C’è chi preferisce Il Giro del Mondo in 90 giorni.

Al Piccolo Teatro Grassi di Milano
va in scena la Misericordia di Emma Dante.

Burroughos si lamenta
perché nessuno si ricorda di lui.

Dopo i versi di James Welch
leggemmo  Sotto le lune di Marte.

Il vecchio amico di cantiere
ripropose una casa di idee e bigiotteria.

Non tutto ciò che si chiude
ha un buon fine.

Non vedevamo Jeremy dal 2006
da quando  non rispettò  i patti.

Le scale non sanno se vuoi fermarti
davanti alla porta del campanaccio.

Un film Luce ci permise di vedere
la coda di Moby Dick.

Cara Geneviev, grazie per i marenghi d’oro
che mi regali da gennaio fino a Natale.

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Mary ha rinunciato alla termoterapia
e sarà un problema negli anni a venire.

Certe soluzioni non le trovi al Saint Paul’s Hospital
ma da Murilo Mendes e ciò che dice.

Se non credi al cip cip del passero solitario
devi parlare con Sam affinchè ti tolga le nuvole dalla mente.

Sono anni che dividiamo anima e corpo
ma siamo due finestre sempre chiuse.

Ho provato a chiamare il 696
era sempre occupato.

Mi si sono stancate le braccia
portando via mezzo scaffale di prodotti green.

Ho voluto regalarti Motta Class,
CBA Royal e un uovo dolceamaro.

Il punto fermo di settembre
è che non offre il passaggio di staffetta all’autunno.

Dovremo rivedere le nostre cose,
le figure che non riusciamo a identificare.

Se ne sono andati Pablos Del Rio,
Luis Sepùlveda  e da più di un secolo Natalia Correia.

Il Catalogo comunale ha riqualificato i luoghi centrali
dimenticando i bistrot della terza età.

Non  esiste centuria che annulli questi tempi
e la faglia di Sant’Andrea.

Ti preparo la cena senza mettere  i candelabri
e i tovaglioli indolenziti dal tempo.

Faremo meglio quando Evelyn partirà da Pittsburgh
con un nuovo telefonino.

Dicevo a Frank Muller:
indovina Chi viene a cena?

Potresti  essere tu e la girl
o qualcuna delle anime abbandonate.

Un litigio ha messo in allarme il gatto e la volpe
da quando se n’è andata Giselle, senza amici e matrimonio.

Sei d’accordo di donare qualcosa ad una Onlus?

Tutto bene? Proprio no! È tornata l’anafilassi e manca il dott. Moon.

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Una linea di lunghe frasche
segnava il confine tra Essere e Tempo.

Bottiglie di Negroamaro
brunivano la notte.

Usciti dal bistrot
portammo i pensieri  all’altezza  del Paradiso.

Presero forma i catafalchi di Dio
e i tumulti dell’anima.

C’era la musica di Berio e di Henz Hollinger
sul palcoscenico.

Pensammo a Brecht
e alle nostre vie di smarrimento.

Ci sono buone notizie, Madame Grillet,
se ci fermiamo a Parigi a Le Grand Motel.

In viaggio per Berlino, senza la Ddr e la Stasi,
facciamo un selfie con il cartello Zollamt Nickelsdorf.

Ovunque ci muoviamo ci sono una promessa
e un giro di vento sopra i tetti.

Lungo la Friedrichstrasse, i viaggiatori leggevano il Capitale
con Marx in copertina.

Al Palazzetto dello Sport
nessuno è come Jesse Owens.

Mi distraggono le turiste
in mezzo all’acqua alta di Venezia.

Questa notte
è passato il gregge nella mente.

La vecchia casa
è un materassino di oblio e di fantasmi.

Nemmeno  se tu fossi qui, Evelyn,
saprei scrivere  la tua biografia.

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La nebbia aprì squarci.

Il dubbio era se il mese più corto dell’anno
avesse altre vendette.

Una solitaria tristezza prese la strada più lunga,
senza pigolii d’uccelli allo sbaraglio.

Fu un’antologia di chimismi lirici a portarci in ecstasy.
In nessun porto approdò l’hovercraft.

Ci fu al Berlitz World un memorial day
con uno spartito di Liszt dell’Accademia di Santa Cecilia.

Ogni argine è un approdo di pensieri.
Il jet lag finì con la melatonina.

Un barcaiolo aprì un varco
alle colombe in lutto.

A volte ci si incontra con i vecchi amici.
Qualcuno prepara piani di lettura.

-Per favore, sediamoci
ad ascoltare il Prefatore di questa sera!-

-Cari signori,
vi parlo di un prologo e di un frammento
senza leggere i capitoli su Diana Ross.-

Potrebbe essere, il doberman, questa volta,
a trovare il Santo Graal.

Ma non è stato Pietro da Sant’Albano
a citare:”Historia fratris Dulcini Heresiarche”?

Wall Street  mi attrae più di New York
e della tomba di Marilyn.

Che ne dici di rifare le scorsaline
per la prossima estate?

Le orchidee sono sempre tristi
come le musiche di Regondi e Pujol.

Abbiamo dovuto bere il latte
per tornare all’infanzia.

L’uragano  ha lasciato le strade deserte
e i marciapiedi divelti.

Dalla finestra all’ultimo piano fino all’EuroSpin
c’è una distanza dove Jenny  naviga a vista.