INTERVISTA A 5 POETI SULLE ANTOLOGIE OMISSIVE

LE INTERVISTE

A cura di Mario M. Gabriele – da: “La parola negata”

Aderendo ad una formula ormai consolidata, intendiamo utilizzare l’Intervista col solo scopo di instaurare con alcuni poeti un discorso diretto tendente ad affrontare il problema delle assenze nei Repertori della poesia italiana contemporanea, desiderando venire incontro a coloro che ritengono utile ogni discussione sulla poesia.
Qui riportiamo alcuni contributi di pensiero di Carlo Felice Colucci, Franco Cavallo, G. Battista Nazzaro, Ciro Vitiello e Alessandro Carandente; poeti dalle diverse aree generazionali, per sentire i loro umori e malumori di fronte alle antologie di chiara marca separatista.

D. 1) Come vede, alla luce delle sue conoscenze e della sua esperienza sulla poesia italiana del 900, la costante “emarginazione” di cui sono oggetto in antologia, repertori e perfino Storie della letteratura, i non pochi validi poeti del Sud? Ne ha sofferto, ne soffre?

Carlo Felice Colucci

Vedo, una tale premeditata “emarginazione”, e la vivo, come una “sciagura letteraria” capitata all’italica poesia; non solo alla Musa del Sud! Seppure, diciamocelo francamente, quel che oggi resta in fatto di poesia, in Italia e altrove, non è molto. Anzi! E ciò nonostante i vari conati festivalieri e premiaioli, più o meno degenerati e squalificati. Il fatto è, cari amici, che l’essere spesso “cancellati” dalle antologie patrocinate e stampate al Nord, di là dal Garigliano, ma che dico? dall’Arno….genera, fra l’altro, massima confusione e disorientamento fra i sempre più rari cultori e lettori di poesia. Perché Cavallo, Capasso, Colucci, Martini, Moriconi, Vitiello ecc.., per i poeti lombardo-emiliani (meno per i Veneti e i Piemontesi, per i Liguri…), non esistono non sono mai esistiti, tranne rare eccezioni….magari caritatevoli. Come va? Non si sa.
E nessuno sa perchè la Napoli “poetica”, (il Sud “poetico”) di oggi, degna e fertile eredità dei Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Scotellaro, Albino Pierro, E. De Filippo (senza andare più lontano!),venga regolarmente ignorata o quasi. Esemplifichiamo, “un gioiello” per tutti: (Poesia e realtà di Majorino, dimentico-fra l’altro- della rivista napoletana Incognita e dei lauti premi calabri servitigli su piatti d’argento da ingenui poeti di quaggiù.Orbene il“nostro”Giancarlo Majorino, comunque buon poeta, nella sua un po’ confusa, “politicastra” sinistrorsa e molto parziale (omissiva) disamina dell’italica poesia (di recente riedita da Tropea, in edizione conforme e priva di qualsivoglia pur “doveroso” aggiornamento!), premesso che ogni “antologia è un arbitrio” e che il curatore si regola ad libitum (meno male che lo dice!), dà -senza ombra di dubbio- a Milano (“città centrale anche per la poesia, anche per la poesia critica”, a pag. 39) lo scettro di Regina del verso, del poetare tout court, riferendosi ovviamente alla seconda metà del Novecento. Cos’altro si può aggiungere, se non che nel repertorio del Majorino non esiste nemmeno un napoletano, un campano? Del Sud, comunque si salvano soltanto pochi…morti (riscaldati, alcuni postumamente, appunto, dal “sole dei morti”..) E come vive, tutto ciò, uno di noi, poeta mezzo emarginato al sud? Male. Molto male! Però, non per questo Colucci “si piange addosso”, si atteggia a vittima. Cosa fare per tentar di sanare codesta spaccatura dell’Italia poetica in due voluta al Nord? Non saprei; ma qualcosa sto cercando di fare in tal senso e spero di riuscirvi, prima di finire i giorni in Terra destinatimi….

Franco Cavallo

Con la scomparsa di grandi figure intellettuali e manageriali come Cesare Pavese, Elio Vittorini, Italo Calvino (che già verso la fine degli anni sessanta si era in parte defilato, lasciando Torino e il lavoro editoriale a tempo pieno presso la Einaudi per andarsene a vivere a Parigi), Vittorio Sereni, ma anche Sergio Solmi, Niccolò Gallo, Giansiro Ferrata, nella grande industria editoriale del Nord (l’unica che, tranne rarissime eccezioni, conti realmente in Italia) si sono succedute figure per così dire “minori”, legate prevalentemente- per rimanere allo specifico della poesia — alla cosiddetta “linea lombarda” e post-ermetica, una sorta di linea Maginot della cultura poetica italiana a cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo scorso. Queste figure (perlopiù poeti in-proprio, come si usa dire), facendo carriera come funzionari o come dirigenti nelle grandi case editrici nazionali, e quindi acquisendo un cospicuo potere manageriale nel contesto dell’editoria di diffusione nazionale, si sono “preoccupate” (diciamo così) di proteggere il loro lavoro e le loro opere imponendo di fatto una visione teorica univoca del fare poetico, penalizzando altre aree di ricerca. E’ partendo da questo dato che ha inizio la fase discriminatoria recentemente denunciata da molte parti e che dura ancora oggi.

G. Battista Nazzaro

Certo che, come tutti, ne soffro, anche se cerco di fronteggiare la brutta situazione che, col tempo, s’è venuta a creare con un po’ d’ironia. Una delle cause più importanti è la mancanza di centri decisionali qui, al Sud. Anche quei pochi che operavano a Napoli o a Palermo o a Bari, col tempo, si sono trasferiti a Roma o al Nord, oppure hanno perso potere, se non addirittura spariti. Ciò è dovuto anche alla mancanza di spirito imprenditoriale dei nostri editori. Mi è già capitato di dire che, gli editori operanti attualmente qui, a Napoli, salvando la pace di qualcuno, somigliano più ad impresari di pompe funebri che non ad operatori di cultura. S’aggiunga che, per ragioni facilmente comprensibili, amano il forestiero, colui che, operando ove il potere economico è forte, sembrano di poter assicurare una più rapida espansione della loro impresa. Naturalmente non è così; e quasi mai i loro sogni si realizzano attraverso quest’espediente. Il forestiero, occupati gli spazi che gli sono stati offerti, si disinteressa del resto. Si tratta, come può vedere lei stesso, soltanto di un fenomeno di colonizzazione, molto tipico del resto nelle zone economicamente sottosviluppate, che non potrebbe aver luogo senza il consenso dei meridionali stessi. Tant’è che, i direttori di collane di poesia, a Napoli perlomeno, si comportano come agenti dei poeti del Nord nella speranza d’accedere un giorno, anche loro, alle collane dei grandi editori milanesi o torinesi. Ma mi creda, nonostante queste deficienze, anche noi meridionali siamo bravi, soprattutto quando c’ispiriamo, con forza, alla nostra cultura, che non è meno gloriosa di quella del Nord.

Ciro Vitiello

La domanda presenta alcuni punti anodini da sciogliere. A) Io rifiuto la denominazione di “poeti del Sud” o come anche si dice “meridionali”. Quando nel 1984 Franco Cordelli, nella introduzione al mio Suite (Guida ed.), scrisse “Molto indirettamente, come succede in poesia, Suite di Ciro Vitiello ci parla, forse, della condizione meridionale. Che cos’è la condizione meridionale.? A una nozione storica complessa e, per più versi, negativa del termine “meridionale”, se ne può contrapporre una moderna e problematica, che abbia soprattutto valore di metafora: non più il mondo diviso in est e ovest, ma anche in nord e sud”, io in contrapposizione tenni a mettere l’accento su un fondamento che è del poeta tout court, “E nel tormento la voce si proietta alla spasmodica ricerca di una identità, che è già fuggita, è altrove, è quell’Altrove, che è la Morte. Io —ora- sono escluso, altro, appena un corpo che attende (“che cosa?”), che respira (“perché?”), in una Terra Miseranda (“il Sito”) dove Capi e Tiranni sono celati ovunque, nelle pieghe istitutive e nei luoghi i meno sospettati. E la Menzogna è lo statuto del Malvagio per farsi forte. Se l’umano può soccombere, soggiace la poesia — e l’io che la presenta — quando è significata rompe argini e strettoie, esplodendo nella forza della libertà”. E in quel testo io rovesciavo una drammatica esperienza dell’esserci nella realtà. Non da poeta del Sud o meridionale, ma da poeta che stando sotto il cielo stellato e nella bufera del giorno è radicato nelle cose e negli eventi, qui in questo meridiano o nel suo opposto. Io vivo qui, però nella memoria ho lo spirito cognitivo della cultura occidentale nel corpo la gestualità di una terrestrità illimitata, Se la libertà è una conquista, porta soprattutto alla consapevolezza di “essere nudo”, di essere “slacciato” e “sospeso” (per tanto, la sofferenza è di chi si trova incastrato nella limitatezza e nella pochezza”, ecc. In fondo, perché si è poeti? Per la Gloria? Io sono poeta per vivere questa mia esistenza con densità, fortemente, con tutta la tensione possibile di uomo, che attraversa mondi e fenomeni,ecc.). B) L’emarginazione è prodotta dal sistema innanzitutto, poi dalle teorie, infine dalla furbizia in generale. Tuttavia nei casi di seria opportunità, non è vero che i poeti del sud sono esclusi. In verità ce ne sono troppi e i più sono troppo poco efficaci (la domanda qui è la seguente: quali poeti sono degni di essere innalzati?). Il sud annovera poeti importanti, che sono doverosamente rappresentati, quali Gatto e Sinisgalli, Piccolo, addirittura vanta l’onore di un premio Nobel, Quasimodo. Tra i viventi alcuni sono riconosciuti. La verità è semplice: l’antologia, (la storia, ecc.) è fatta da un antologista (da uno storico, ecc.), il quale opera secondo propri criteri di scelta e di analisi, senza prescindere dai nessi editoriali (per intrighi di botteghe) e amicali (secondo il principio do ut des, ecc.), Se si vuole salvaguardare la propria libertà, in primo luogo si deve rispettare quella degli altri. In sostanza necessario, per il poeta, é l’avere la coscienza di fare bene il suo lavoro, di sentirlo e di soffrirne (sofferenza in sé, per il travaglio, per lo sforzo a ricavare un verso che possa risplendere. Il resto è polvere al vento). Io sono me stesso, e sono poeta. Nessuno me lo può togliere o vietare. Punto.

Alessandro Carandente

La gestione culturale in Italia, è, purtroppo, ancora di tipo corporativo. Il diritto, il valore, la correttezza sono miraggi che la realtà effettuale respinge.
Internet, la globalizzazione e la telematica, sono chiacchiere. Non ci sono progetti, indirizzi critici e linee guida giustificatrici. Regna sovrano l’arbitrio. La Mondadori antologizza, senza alcun pudore, solo i poeti pubblicati dalla stessa casa editrice. E tutto funziona ancora all’italiana. Tu recensisci me e io antologizzo te.
In quanto direttore di una rivista “Secondo Tempo” sono testimone di un malcostume e di un servilismo in atto che fa spavento. Gente che prende posizione per l’esclusione del poeta, non esita poi a recensire l’ultimo libro della stessa persona che lo ha escluso. Che schizofrenia! Ci escludono e noi come rispondiamo al sud? Non abbiamo una società letteraria e neanche una editoria che possa produrre cose alternative.
Ne soffro? Una volta li stroncavo sui giornali e sottolineavo le malefatte, (vedi La poesia si è fermata a Milano ne Il paradosso dell’evidenza) e contribuivo involontariamente a far loro la pubblicità indiretta. Oggi preferisco ironizzare perché conosco il valore effettivo dei critici e dei poeti circolanti in Italia. Vi assicuro che sono vili e intercambiabili.

D. 2) Perché e dove e quando sarebbe sorta questa “moda”, pare inarrestabile, di spaccare “l’Italia poetica” in due?

Carlo Felice Colucci

Non mi è facile rispondere. E lo farò soltanto con molta circospetta approssimazione. Anzitutto, io invocherei l’abusato, risaputo (ma purtroppo non estinto!) fenomeno del “razzismo” tout court: oggi divenuto leghismo (letterario) nemmeno poi tanto “strisciante”.
Sarà anche una questione di genoma, di “complesso di superiorità” innato? Potrebbe darsi, ma bisognerebbe analizzare in tal senso il DNA dei vari Majorino e compagni. Il che non è fattibile; e quindi “mancano le prove” tanto che la mia potrebbe restare anche una mera presunzione. Chi ha cominciato? Nemmeno questo è agevole dire. Ma penso ai peccati di Anceschi, Sanguineti, del duo Berardinelli/Cordelli (benché romani e benché, di qualche, sparuto, napoletano, pure si ricordarono); e poi-soprattutto- di certi neoavanguardisti (che il Signore li abbia in gloria!), e forse-soprattutto di Porta. Ma la Storia della letteratura-che certo non si può fermare alle incomplete antologie di Majorino e degli Altri-chiarirà pure questo.E ci si dovrebbe illuminare anche sulla stranezza insita nel fatto che proprio a Napoli, già fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ebbe luogo, una dinamica artistica-sia in poesia che in pittura-, tutta incentrata sulle nuove tendenze: dalla poesia visiva, di Persico, Stelio Maria Martini, Castellano, Franco Cavallo, ecc., all’arte nucleare di Mario Colucci (pittore), alle esperienze del Gruppo 58, al Manifeste de Naple del 59, cui aderirono anche Balestrini e Sanguineti. E qui mi fermo, perché io credo che lo scopo di questa “parola negata”non è quello di lanciare un “J’accuse”, bensì è cercare di capire quando è accaduto.

Franco Cavallo

Di leghismo editoriale vero e proprio, diciamo pure di razzismo culturale, si può cominciare a parlare dalla fine degli anni settanta in poi. E’ del 1979 l’antologia di Antonio Porta Poesia Italiana degli anni settanta, edita da Feltrinelli. Proprio questa operazione di riflusso, maturata negli ambienti poetici milanesi unitamente a un convegno sapientemente orchestrato e gestito, segna uno spartiacque molto preciso nel senso della discriminazione di cui sopra. Il nome del novissimo Porta non deve trarre in inganno. Negli ultimi anni di vita Porta aveva realizzato una serie di “convergenze strategiche degli opposti” che gli avevano consentito di allontanarsi, anche creativamente dal proprio luogo di origine (la neoavanguardia) e di accostarsi ad aree poetiche che fino a quel momento gli erano state estranee se non addirittura ostili. Il convegno milanese, del quale lo stesso Porta fu magna pars (pur rimanendo nell’ombra), e l’antologia che seguì subito dopo, realizzarono sul piano operativo la quadratura del cerchio, mettendo a frutto, appunto, proprio le suddette “convergenze strategiche oppositive”. Negli anni novanta, infine, in coincidenza con le fortune politiche del leghismo, il fenomeno ha assunto aspetti più marcati e radicali. Se si pensa che da quasi dieci anni sono “fermi” in tipografia i meridiani mondadoriani dedicati a Leonardo Sinisgalli e ad Alfonso Gatto, ci si potrà rendere ben conto della gravità del fenomeno….

G. Battista Nazzaro

“Quando si è prodotta questa moda?”, lei mi chiede. Essa è nelle cose, da sempre, da quando nel 1860 è stato creato lo Stato unitario e i centri decisionali sono emigrati altrove. Che la voglia, poi, di spaccare “l’Italia poetica” sia tuttora irresistibile, è un dato di fatto incontrovertibile (e riscontrabile) anche in politica.“Tu sei un umanista meridionale”, mi disse una volta Giancarlo Vigorelli sulle sponde del Lago di Como, tra le more di un convegno. In realtà, c’è nell’industria editoriale di oggi un rifiuto costante del cosiddetto umanesimo meridionale, innanzi al vincente dato tecnologico che ci viene dagli Stati Uniti, ricchi e potenti, e che pare assicurare ottimi proventi all’imprenditore. L’umanesimo, con le sue istanze, le sue tradizioni, tutta intera la sua eredità culturale, è perdente. E il poeta meridionale, anche quando orecchia i poeti del Nord, conserva sempre, nei suoi prodotti, le tracce di una tradizione culturale, che non è certo quella borghese ed industriale nata a Milano, a Torino, o nel Veneto del “piccolo ma bello”. Ecco: “Io so che il corpo ammala ove l’abbaglio d’un ritratto è funesto”, scriveva, a gola spiegata, Alfonso Gatto parlando della sua gente, subito dopo la liberazione sul “Politecnico” di Vittorini. Ciò disturba sia i minimalisti, sia i neocrepuscolari e sia i cosiddetti tecnologici; disturba perché, tradizione e cultura danno ancora un valore alle parole e al senso racchiuso nell’atto di “cantare”, là dove, per loro, il parlare, di là dell’atto pratico di comunicare spese e ricavi, è solo autonoma determinazione tecnico-formale è formulario metrico-prosodico. Si sono fermati, insomma, alla scomparsa dei “miti”, e sono annegati nei meandri del computer, ove ogni cosa, ogni gesto ed ogni intenzione, è riducibile ad un ridicolo clic.

Ciro Vitiello

Lascio agli storici il compito di indagare la problematica che richiede la domanda. Per esempio, prendo il caso Lucini. Che ebbe la sfortuna di vivere tra Pascoli e D’Annunzio, per cui ne venne triturato, la sua ansia di rinnovamento non trovò spazio. Sanguineti lo ripescò, gli diede un posto d’onore, come era doveroso. Poi è caduto di nuovo (spero non per sempre), perché? Questa è una di quelle innocenti domande quasi misteriose cui solo l’oracolo di Delfo può rispondere credibilmente.

Alessandro Carandente

Il leghismo è fenomeno politico recente. In letteratura, che io ricordi, è sempre stato così. In un campo che di solito si immagina pacifico, la discriminazione era già in atto e operante. Antonio Porta, tra l’altro cattolico, che aveva fatto il compromesso storico col comunista Sanguineti molto prima di Berlinguer, già negli anni Settanta, da re del magazzino, aveva escluso tutti, da Roma in giù. Il resto lo conosciamo. Il fenomeno sembra irreversibile. Non siamo competitivi ma un’altra cosa. La nostra differenza, scettica e solare, rimane comunque la parte creativa dell’Italia. Perciò non bisogna arrendersi, ma resistere e resistere a oltranza. Solo il lavoro e la qualità e il sodalizio convergente possono riscattarci. Il poeta possiede un bene preziosissimo: la parola. Essa è la fedele testimonianza di ciò che siamo. Al nord pensano al gettito fiscale? Noi rispondiamo attenti al gettito fiascale. Sì, beviamo su, amici, che la vita è breve.


CORRELAZIONI SUL METODO DELLE ANTOLOGIE

All’editore compete di scegliere secondo il suo giudizio di convenienza tra le offerte sottopostegli; e potrà anche arrogarsi il diritto di manipolare i testi, nel processo di mercificazione cui dà avvio per farli giungere al lettore. L’imprenditore editoriale, anche il più forte non fa altro che scoprire, potenziare, prolungare linee di tendenza obbiettivamente esistenti. Il suo potere contrattuale è rilevante, rispetto sia a chi scrive sia a chi legge nell’ambito però di un rapporto di mediazione che non tollera di esser forzato troppo oltremisura.
(Carlo Salinari, Cesare Ricci)

Le antologie si fanno (si sono sempre fatte e si faranno), così come si fanno i codici di giustizia, i partiti della libertà, le chiese della fede religiosa, le città perfette dell’utopia sociale: è il segno oggettivo della loro necessità e dunque della loro utilità. Sempre che non diventino operazioni politicamente interessate di restaurazione, di frenaggio.
(Giuseppe Zagarrio)

Ogni letteratura, come ogni storia, è un quadro di forze vincenti, che dovrebbe però esser visto in trasparenza in modo da consentire la sovrimpressione fra diritto e rovescio.
(Luigi Baldacci)

I curatori di antologie si rifiutano di ammettere di aver curato un’antologia. In fin dei conti nessuno vuole riconoscere di aver fatto quello che ha fatto e così si genera il paradosso di qualcosa che esiste e non esiste allo stesso tempo.
(Rolf Grimminger)

Un’antologia è pur sempre un arbitrio, e non c’è criterio di presunta oggettività che possa giustificarlo.
(Enzo Siciliano)

Le antologie sono state inventate per far litigare la gente. Se sono legate al presente i viventi esclusi (o inclusi in modo secondo loro non congruo) vorrebbero fulminare il curatore (o i curatori). Se sono legate al passato ci pensano i filologi (una categoria litigiosissima, capace di trasmettere l’odio per un collega nemico fino alla terza generazione degli allievi) a rivedere, come si dice, le pulci al malcapitato di turno.
(Paolo Mauri)

La critica letteraria si chiude in se stessa, si isterilisce nell’ambito accademico e nel microspecialismo, smarrisce il nesso fra filologia e interpretazione (e, anche, all’opposto, aggiungerei, la coscienza della distinzione fra questi due momenti) oppure si subordina alle esigenze del mercato e dei mass-media, diventando chiacchiera impressionistica, mero intrattenimento.
(Romano Luperini)

La creazione letteraria del XX secolo ha saputo penetrare nello strato più profondo del Dasein e dominare il presente, non accontentandosi soltanto di descriverlo. Essa è riuscita anzitutto a sciogliere e a coniare di nuovo, secondo un nuovo stile, le forme e i generi letterari ereditati dalla tradizione, associandoli e mescolandoli in tutte le combinazioni possibili.
(Hans Freyer)

Le probabilità che la verità di fatto sopravviva all’assalto del potere sono veramente pochissime.
(Hannah Arendt)

L’esperto di poesia è l’esperto di sé. Perciò l’esperienza della poesia è una continua messa in crisi dei luoghi comuni e delle impalcature di opinioni che acriticamente si accetta.
(Franco.Loi, Davide Rondoni)

La poesia ha saputo affrontare ardui problemi del pensiero e della vita: tutto questo va documentato senza fare questioni di genere letterario.
(Cesare Segre, Carlo Ossola)

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