INEDITO DI MARIO M. GABRIELE

Le parole che furono pensate e mai dette
ti bucano la mente ogni volta che si fa sera.

Quello di cui si avvolse Hart Crane
era un lenzuolo d’acqua come quello di Celan.

Mon Dieu, stiamo morendo! Non affacciarti al balcone!
Scrivi a Romina come se fosse l’ultima volta.

Acqua fredda, acqua calda. Se veramente vuoi pulirti
non hai altri rubinetti se non quelli di Ideal Standard.

Non respiro. Ho la tosse.Hai chiuso bene la porta?
Ricordami di chiarire tutto con il Redentore.

Uno si è buttato dal quarto piano
seguendo il manuale dei suicidi.

Sotto la cintola aveva una mappa
per il paradiso degli impala.

Qualcuno il Venerdi Santo
ha lasciato i sandali di Cristo.

Appena fuori Alcatraz
partiremo per l’isola di Crusoe.

-L’unica  risposta  alla tomba di un bimbo
è stendersi lì accanto e giocare al morto-(Saint Geraud).

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2 commenti su “INEDITO DI MARIO M. GABRIELE

  1. caro Mario,
    Le parole non dette sono quelle determinanti, che noi non diciamo per convenienza, per riluttanza, ipocrisia, conformismo… Per questo motivo la poesia ha il compito, direi ontologico, di pronunciare le parole non dette, altrimenti la poesia diventa chiacchiera da supermarket. Quante parole della poesia degli ultimi cinquanta anni sono chiacchiera? Sarebbe bello ascoltare quello che ne dicono i pochissimi poeti di valore che ci sono in Italia.

    • mariomgabriele il said:

      Caro Giorgio,
      le parole sono punte di trapano che squarciano il muro di ogni definizione. Se io dico per esempio che la Madonna non è mai salita in cielo e che Cristo non è risorto, a meno che non fosse una morte apparente; se dico queste cose le tengo per me, per non urtare la suscettibilità di un credente. Le parole non dette riguardano la nostra sensibilità e la nostra cultura. Le teorie dei filosofi sono interpretazioni del Mondo che non sono rimaste nella cella della mente ma largamente espresse in piena libertà, fino a quando non se ne contesti la contraddizione. Allora, io ti chiedo qual è la differenza tra il dire e il non dire in poesia?
      Fare un assemblaggio lessemico e scientifico diventa condizione di razionalità sociale nell’uso del linguaggio in grado di fungere da pungolo rivoluzionario. C’è in noi stessi, poeti e singoli lettori, una intersoggettività autonoma che richiede una riflessione al di fuori di ogni analisi fenomenologica. Un discorso neocriticista ha davanti a sè il concetto di struttura che è alla base di ogni intervento estetico. Il prefisso “post” non va sempre interpretato come forma di contrapposizione e ad esso validare ogni contaminazione linguistica anche tra quelle più decompositive . Una delle principali obiezioni che nascono da sé è sul sistema di assiomi linguistici apparsi sulla Rivista come teleologia, cioè di un finalismo estetico, come Principio Antropico forte e agglutinante la materia verbale. Ci sono autori che prevedono un futuro linguistico di calcolo scientifico, matematico e strutturale, senza in definitiva risolvere nulla. Non meraviglia se la storia dell’uomo, secondo Freud è la storia della sua repressione. Le parole tacciono, si fanno ghiaccio polare nella loro ampiezza e profondità, per questo ci bucano la mente ogni volta che si fa sera e rinunciano di salire in superficie contro le più strane storie e missive dove c’è di tutto, tra individualità, psicocentrismo,urgenza nel comunicare e rappresentare l’incanto privato, in un gioco regolato da strani connubi e descrizione fotoelettrica delle cose e della realtà riconsiderate in una oggettistica da espressionismo astratto.

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