UGO PISCOPO

Il surrealismo rimane nel fascino di molti poeti uno dei tanti modi di automatizzare la scrittura del sogno, superando il realismo stesso nel momento in cui appare insignificante il razionalismo dell’arte borghese, a favore di un linguaggio derivante dall’inconscio, tra istintività e automatismo verbale, come quelli espressi da Ugo Piscopo (1934), e consequenziali di un Io, diviso tra mondo patriarcale e mondo contemporaneo, nell’addensarsi di esperienze esistenziali e private, e di realtà socio-ambientali, d’autentica connotazione meridionale, come in Catalepta (1963), con i suoi andirivieni ermetico-neorealistici, a più ripiani poetici e convergenze figurative, o in — e — (1968), “ che non è la vocale di Rimbaud…ma la congiunzione di interrelazione, il continuo inceppo di tante parole….comunque, sempre una descrizione, quasi una storiografia, ma alla maniera dei cronisti medievali che raccoglievano tanta roba”, pag.5: tutta una commistione di inserti plurilinguistici, sigle pubblicitarie, note contabili, minime citazioni, passaggi dialettali e stilemi vari che spianano la strada al volume Jetteratura, Lacaita, Manduria, 1984: un repertorio poetico caratterizzato da collages, brevi inserti da tabloids, forme verbali evolutive e iperesometriche; in un canto a tenuta poematica armonizzato da un poeta del Sud, che sente a modo suo e drammaticamente, l’insoluta problematica dell’essere tra coscienza ed evanescenza, tra mondo rurale e mondo industriale, dove si incastonano spazi figurativi e psicologici di schietta trasmissione reale e memoriale: “Più sicuro sarei dietro il tronco materno di un pioppo /con la polpa buona per la madia bianca per il pane / e con la corteccia spaziosa a culla o piroga / Più felice sarei che all’ombra screpolata di quest’olmo antico / fra questo spreco di ricordi di cieli lagunari thomasmanniani / dove teneri riccioli dell’ora d’opale si versavano in latte / sulla traccia bianca del mattino “ (pag.21).
L’occasione poetica è spesso densa di sollecitazioni culturali di fronte ad una società irretita dai messaggi della civiltà dei consumi. Da qui la co-gestione di progetti verbali che vanno a misurarsi in stili e tematiche diverse: formando un piccolo avamposto di scrittura realizzata secondo le suggestioni di linguaggi multiculturali: tra estratti di prosa dei fratelli Grimm e di G. Anders: un libro certamente non provvisorio per via di quell’accumulazione timbrica che si fonde nella giusta coesione del rapporto poemetto-prosa, dove spesso la parola è oggetto di accentuata polimetria, e di pura manipolazione lessicale (consonantica, allitterativa), in cui la memoria, che è la parte più vitale e meno disgregatrice, si dipana linguisticamente in una vivace successione del “pensiero parlato”, vicina a tratti, al dinamismo presqu’automatique surrealista. (Luigi Fontanella, Poesia a Napoli negli anni Sessanta. Una Campionatura, La poesia a Napoli 1940-1987, pag.170). In effetti, e soprattutto in Jetteratura, più che nel volume Catalepta e in quello dal titolo — e —, si condensano variazioni tematiche che spaziano lungo le strade della nostra civiltà, tra ironia e sarcasmo: un vero e proprio materiale di genetica letteraria, attraverso un discorso che rivisita luoghi e culture diverse messi sotto esame e criticamente relazionati.
Di diverso approdo semantico è il volume Quaderno a Ulpia (la ragazza in mantello di cane), Alfredo Guida Editore 2002, che sembra distendersi su piani formali meno complessi che si uniscono in un unico discorso memoriale per la morte di Ulpia, docile cagnetta che rappresenta per il poeta il tacito legame di complicità tra uomo e bestia nella “pena di vivere” (Gennaro Savarese, Prefazione al volume Ulpia).
“Mistero” e “grazia figurata” sono invece i termini di una crittografia vegetale riportati nel recente volume Haiku del loglio (Guida, 2003), nel quale il Piscopo riesce a creare un sorprendente erbario da cui ricava correlazioni verbali d’illuminante rifrazione.
La campionatura poetica che presentiamo, è apparsa su Secondo Tempo — Libro Tredicesimo – Marcus Edizioni, Napoli 2001, ritenendo i testi un ulteriore passo in avanti della variegata transizione linguistica di Piscopo, il quale recupera alcuni incipit a cadenza tradizionale come”Torna a fiorir la rosa o la favola della parola” o “Volge al fin la sera del dì di festa” incastonati in una struttura lirica, accanto ad altri esiti con i paesaggi, desolati e maledetti e i tratti verbali metaforici “Cane è questo vecchio Sud “Cane nero dentro il vento che scroscia la furia / al crocevia che porta a Crotone”, tutti grafitati come supplemento di lettura e di proiezione dell’esistente.
All’attività di poeta e di narratore, il Piscopo ha fatto seguire interessanti contributi di critica letteraria e d’arte con i volumi Alberto Savinio (1973),Vittorio Pica. La protoavanguardia in Italia (1982), Futuristi a Napoli. Una mappa da riconoscere (1983), Diego Valeri (1985), Massimo Bontempelli. Per una letteratura dalle pareti lisce, (2001).

Fughe e silenzi germina la parola

Torna a fiorir la rosa o la favola della parola
mattutino risveglio della sera strazia in rossi barbagli
roride ombre disegna d’acque e di trinati capelvenere
controluce sulla bianca redola educata tra le aiuole

Ma noi noi tu e io in avaria alla gialla deriva
ci sconnette e arretra e assenta fuori campo oltre la scena
ombre vane che siamo d’un incarnato d’echi
non si sa dove soli soli eravamo e senza

Smarrita la donna in sé s’acciambella e fugge
strappato alla grazia il garbo di luna degli occhi
tanto può bellor di rosa il tuffo d’un bouquet
che irrompe a la chiusa imposta con un ramicel di fiori

In villa al crocevia dove arsi silenzi controvento
si dissolvono come in specchi labili postille
e illuse orme simulano indizi tracce intrighi
un frullo d’ali di cristallo marezza luci decembrine. (1990)

Compagnonnage

Volge al fin la sera del dì di festa
più lunghe l’ombre più sfuggente il canto
ho preso campo anch’io in Piazza Grande
solitario compagno di tenda
d’argonauta intento allo specchio del sogno
se mai la curva lossodromica cambiasse segno

Per conto suo d’un altro montagne di parole
scavai che fiorissero atolli nei mari del Sud
doveva svegliare il cane che dorme nel cerchio del Silenzio
cacciare gazzelle di suoni manguste dell’ombra che danza
aveva scelto ai dadi d’essere uno
ora è solo uno che essere poteva

L’ho visto essiccarsi in vitro fluorilucente
farsi geometria di rughe nel vento del tempo
per lui bracciante invano fui e giornaliero
voce che invoca cava dagli abissi
eco che tonfa in miniere abbandonate
e mette in fuga sciami d’anime morte
con le pupille roche e sabbiose dei diseredati (1991)

Stazione di Dugenta

Sei scattata stoppino scazonte
a un supposto richiamo
alto sulle pozze di pioggia
della stazione di Dugenta
che suona di carta d’argento
a offrire a chi
lo scopino d’una zampetta rattratta

Partito il treno t’ho lasciata
musino puntato a indagare
se un filo passi nonostante tutto
invisibile di seta che sale (1998)

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2 commenti su “UGO PISCOPO

  1. Restando in tema di surrealismo, direi che le parole hanno spore forte e prevaricante sulle immagini, le quali restano un po’ come cucinate con vino forte e tanti aromi. Però il gusto per la parola rende il piatto convincente. Avendo avuto diversi amici artisti surrealisti, da loro ho imparato che surrealisti si nasce e si resta. Io “non si resta” ma capisco e apprezzo. Grazie

    • mariomgabriele il said:

      Caro Lucio, così “ti scrivo e mi distraggo un po’ (sono versi di Lucio Dalla) per dirti che sei un ottimo gendarme di versi. Leggi tutto e fai tesoro di ciò che essi propongono. A breve aggiornerò la tua scheda. Intanto, buona domenica.

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