Prefazione di J. Taylor dell’Antologia, tradotta in italiano

Il titolo dà il tono a questa vivace antologia. I versi dei quattordici poeti inclusi in -Come la guerra di Troia è finita, non ricordo – evoca l’Eredità greco-romana in vari modi, attraverso il reale, il leggendario e le mitiche figure che vanno da Ulisse ad Apollo, da Medea e Ecuba a Caio Cornelio Gallo, per non parlare di alcuni prolungamenti greci moderni di questa cultura ad esempio quelli di Maria Nefeli di Ulisse Elytis (riportato da Chiara Catapano).

La raffinata poesia di Steven Grieco-Rathgeb è presente anche qui, torna  ancora più in profondità nel nostro crogiolo culturale e filosofico, facendo apparire il concetto sanscrito di “jaagriti”. La parola significa,  come spiega, “essere sveglio (di solito associato con gli altri due stati mentali umani,  dormire con sogno e sonno profondo).

È stimolante estendere la similitudine e affermare che qualcosa come “jaagriti” è forse l’obiettivo, o la motivazione, della poetica espressa da tali poeti attenti alla presenza del passato nel presente. In altre parole, una specie di

visione onirica o immaginativa unita a veglia – un gioco avventuroso, un”sognare ad occhi aperti” pieno di risorse, per così dire, durante il quale il poeta  afferra il presente come tessuto, non essenzialmente con ricordi personali,

ma anche e soprattutto con aspetti della mitologia e della storia (e della storia delle idee) per estendersi ben oltre il sé individuale. Gli elementi archetipici sono stati scavati dal poeta di questo vasto passato,  registrato o immaginato, con la funzione di illuminare il presente, anche se a volte in modo bizzarro, fantastico o comico.

Certo, alcuni modernisti del ventesimo secolo hanno sviluppato una analoga Poetica, che fa rivivere o reimpiegare il passato nel presente. Tecniche sviluppate da T. S. Eliot in The Wasteland e The Love Song di J. Alfred Prufrock vengono in mente quando si esaminano i campioni di alcuni dei poeti compresi qui. Alcuni lettori potrebbero persino ricordare lo storico di C. P. Cavafy le cui poesie rianimano tale figura del passato. Detto questo, i poeti qui antologizzati spesso spingono l’ironia molto più lontano di quanto non abbiano fatto Eliot, Cavafy, o altri antenati modernisti; e talvolta persino una sorta di giocosità scorre in sequenze interconnesse, come quella deliziosa di Mario Gabriele con “In viaggio con Godot” o come la suite di nove poesie di Lucio Mayoor Tosi che inizia con Woody Allen e termina con Zorba e Marc Chagall, tutti nel frattempo, danno un giro metaforico al “tonno in scatola”.

Per non dire altro. Ad esempio la poesia ludica tiene a bada la serietà. Antonio Sagredo imposta allo stesso modo “Farcical” a Roma, in cui il narratore confessa di trascorrere  le sue “notti”nelle taverne / lungo la strada rossa di Scipione, / simile a un prete sotto quelli indifferenti lampioni, /  con il tasso di mortalità di Roma ancora lontano dall’essere decente “, per riassumere la sua vita attuale in questo modo: “Oggi celebriamo il saggio: / Ho letto i Cantici ripetutamente / e come i Cesare sono stato ucciso mille volte! ”

A sua volta, Letizia Leone, la cui lunga poesia è stata tratta dal suo libro La calamità di base si concentra su Marsia il Satiro, forgiando il satiricocon la mescolanza di immagini che raccontano le apparenze del passato e del presente: “. … un peloso satiro / con un nuovo flauto luccicante, tirò fuori da una dea, / un sex toy, / un dispositivo per magia amatoriale! ”

Inutile dire che queste e molte altre poesie sono piene, zeppe di allusioni culturali, sardoniche, beffarde,  spoofing, con indicazioni serie a questioni filosofiche.

Anna Ventura, ad esempio, evoca Trimalchio, la tartaruga etrusca di Volterra ”, Torquemada, e infine Barbabianca, di cui presenta se stessa come la “terza moglie, quella / che ha osato prendere la chiave / e spalancare la porta dell’orrore “, aggiungendo che questo non deve essere detto a Cartesio che” giace / dentro la sua tomba piatta, all’ombra / di una chiesa poco illuminata, / ma la sua luce abbaglia ancora / la sua follower: gli illuminati, disprezzati / in un mondo che fa altrettanto /senza motivo.”

In realtà, le stesse questioni della ragione – le sue carenze e conseguenze, per non dire pericoli e catastrofi: spuntano piuttosto spesso. Un altro modo di leggere questa antologia è chiedersi come decriptarla, o come la mancanza o abuso di ciò, giochi rispetto alla condotta umana così come è stata mostrata nel corso dei secoli.

Giuseppe Talia solleva espressamente questa domanda in “Paradossi” che unisce scienza (o, più precisamente, logica formale) e storia: “Le teorie di Frege sono quasi un fallimento / perse nel predicato che non puoi prevedere /

quando il paradosso dell’assioma / non è altro che una contraddizione:  “Cesare conquistò la Gallia. “Ma in che modo? / Con un carattere sintetico a priori diresti / in relazione allo spazio operativo / e alle semplici proporzioni analitiche/ al numero di soldati usati e civili morti/.

“Nella sua poesia” Aspetta e guarda cosa succede ”, Renato Minore decolla da uno degli spettacolari risultati del ragionamento tecnologico: pixel.  Mentre la poesia si svolge per mezzo di linee permutate,  altre possibilità interpretative lampeggiano di tanto in tanto, anzi come i pixel, suggerendo metafore legate direttamente ai nostri tempi: “Esiste ilcomodo ritorno della specie / continua a rannicchiarsi nella testa di uno spillo / Ma noi sogna ciò che abbiamo interpretato / E danno quel poco che è ancora richiesto di loro “. E se siamo consapevoli di” sognare ciò che abbiamo interpretato “, non è una specie di stato “jaagriti” ancora una volta? In ogni caso, chiediamolo: dove sta andando l’umanità della nostra umanità?

Sebbene ci siano eccezioni, tra cui poesie di alcuni dei suddetti poeti (cioè pezzi che dissezionano le “affiliazioni”, come quelle tra poeta e genitore, tra poeta e fratello, o esplorando altre chiavi personali eventi), l’antologia tende a mettere in luce versi che sono molto più massimalisti che minimalisti. Raggruppando le sue poesie sotto il titolo “Dovrei tornare a Caesar’s Court ?, “Giorgio Linguaglossa (che ha messo insieme questa antologia) sfida implicitamente i poeti contemporanei a rispondere alla stessa domanda. Si hanno pochi problemi a percepire che ci si rivolge in particolare ai poeti orientati verso i particolari modesti della vita quotidiana in sé o verso le loro vicissitudini, le proprie esistenze attuali, anziché verso quelle storiche, mitiche, scientifiche, e sfondi filosofici rovistati dalla maggior parte dei poeti inquesta antologia. Tale, ovviamente, è solo una delle linee di battaglia  che possono essere tracciate tra poeti contemporanei in Italia o altrove.

Le differenze radicali che possono esistere tra i tipi di soggetti considerati, sono visibili anche nella poesia di Gino Rago:  titolo generale per i suoi pezzi interconnessi. “We are Here for Hecuba” sicuramente suggerisce l’intenzione di aprire una prospettiva più ampia di quella delimitata nel bene e nel male da un’ispirazione strettamente autobiografica o da un oggettivismo del genere “niente idee ma nelle cose”.

In una delle sue poesie, Donatella Costantina Giancaspero sottolinea: che “nulla di ciò che siamo / mostra la superficie. ”L’osservazione definisce appropriatamente il non autobiografico orientamento di questa antologia.

Eppure, come dovrebbe anche essere chiaro, le variazioni di questa poetica generalesono molte. Anche la poetica contrastante viene prodotta, sebbene essa non sia necessariamente rappresentativa di tutto il lavoro del poeta in questione.

Antonella Zagaroli, che ha citato teorie scientifiche in alcuni suoi testi precedenti, aspira ad essere “Saffo crudo e ribelle” (al contrario di”Emily”) e offre un’immagine personale toccante alla fine della stessa poesia dichiarando: “Io sono il raccolto, poi appeso indietro la mela / nel giardino appartato.”Altrove, dichiara, in modo evidente riguardo al contesto generale di questo antologia: “A chiunque cerchi ancora una voce con risposte / il passato insegna niente ”. Alcuni dei pezzi più stravaganti di altri poeti raggiungono o rappresentano la stessa conclusione: nemmeno il passato può aiutarci a capire cos’è il presente. Forse l’intera antologia potrebbe essere incoronata con la massima di George Santayana: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a riviverlo ”—come un’epigrafe, a condizione che le sue parole solennisiano stati seguiti da diversi punti interrogativi.

E poi c’è Alfredo de Palchi. Nato nel 1926, è il poeta più anziano selezionato e autore di un’opera che è allo stesso tempo tematicamente coerente e variata. Le poesie qui scelte appartengono ai suoi pezzi relativamente recenti, e costituiscono un angolo autobiografico piuttosto diverso da quello espresso in alcuni dei suoi primi scritti, che raffigurava la sua sofferenza durante le conseguenze della seconda guerra mondiale. Eppure anche allora, come ora,  le analogie sono presenti nel suo lavoro. Qui, in una poesia del 2009, scrive:  “Se solo io potevo rivivere l’esperienza / l’inferno sulla terra dentro /  la fisica dell ‘”oscurità” la materia “sta crollando / in un buco pieno di vuoto /  finché non diventa” energia oscura ” in qualche altro / universo in qualche altro vuoto / dove / la sequenza di la vita si ripeterebbe. “

La poesia procede verso una conclusione tipicamente tonica, per non dire altro, ma non bisogna trascurare l’immagine di De Palchi della sequenza di vita che viene “ripetuta” e che individua ordinatamente  uno dei punti centrali di questa antologia. La necessità di una ripetizione, per così dire, è formulata in vari modi, implicitamente o esplicitamente, a seconda del poeta, e la domanda di fondo che tende a unificare molte delle loro singole poetiche è quindi questo: per cogliere il presente che si svolge davanti ai nostri occhi, dobbiamo prima di tutto cercare di afferrarlo prima che accada,  o forse dopo, o attraverso alcuni paralleli ingannevolmente inverosimili?

………………

Dura la crisi della poesia in tempi tecnologici e meno spirituali.  Si vedono  esiti poetici fluidi, con esposizione  ritrattistica del Tempo e del Paesaggio, attraverso un linguaggio  che porta con sé  un mix di ritrattistica esterna  e di memorie. Non si intravvede un orizzonte di eventi nuovi. Anzi si ricorre a personaggi della onomastica  greca  rivivendoli nella nostra epoca  che ha bisogno di altri sobbalzi estetici.Si pensa solo a ricostituire il linguaggio che è nulla senza incidere sulle contraddizioni esistenziali, sociali, ecc..

La crisi della poesia non l’hanno creata solo i poeti del Novecento, ma anche i critici suggestionati dai poeti che con le loro opere si affiancavano al loro gusto  estetico.Stiamo affrontando un  esercizio linguistico di cui pochi sono portati ad esercitarlo.  Per rimuovere questi ostacoli, occorre considerare  il principio di civiltà e cultura, riordinare le facoltà psichiche e mentali esercitando un nuovo  Moto di Occasione.

 Bisogna parlare con la tensione del malessere, e di tutti gli avvolgimenti teatrali e tragici che investono l’umanità.” Nietzsche era avvinto dal pensiero che l’esistenza è la sola fonte ed il solo risultato di una cultura e di un’arte sensibile al richiamo dionisiaco verso una morte che valga tutta la libertà dello Spirito conquistata attraverso la lotta  contro l’insidia dell’immobile.

  Occorre che l’uomo e il poeta facciano un salto di qualità per andare verso altre mete non tetragonali e geometriche, ma attraverso processi ideologici come rinnovamento della Storia e di energie estetiche. La poesia italiana di oggi ha bisogno di extra-regionalizzarsi e umanizzarsi, ponendo fine al Self My Self.

Un altro dato di fatto, che emerge dalla lettura della Antologia How the Trojan War Ended I Don’t Remember, di Giorgio Linguaglossa, con prefazione  in Inglese di John Taylor, è che dei 14 poeti antologizzati, pochissimi hanno fatto pervenire un loro commento al lavoro impostato dal traduttore americano  e riportato poi in italiano. Forse le vacanze hanno giocato un brutto scherzo. Ma essere presenti in questa operazione,  anche con brevi punti di riscontro, sarebbe stato un segno di buona partecipazione.

Mario M. Gabriele

 

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Un commento su “Prefazione di J. Taylor dell’Antologia, tradotta in italiano

  1. L’Antologia vuole coprire un’ampio spettro di generazioni, dal 1926, data di nascita di Alfredo de Palchi (il primo libro è del 1966, Sessioni con l’analista), passando per Anna Ventura il cui primo libro è del 1978 (Brillanti di bottiglia) fino alla più giovane, Chiara Catapano, un arco di tempo che copre quasi cinquanta anni. Ecco, in questo ampio spettro temporale penso che sia possibile oggi tirare un filo rosso, il filo di una Nuova poesia modernista italiana molto diversa da quella del modernismo del primo novecento nel quale è stata praticamente assente una poesia modernista italiana. Si percepisce l’idea di una indagine a tutto campo nuova poesia, si avverte che la sensibilità è cambiata, che la poesia italiana è ben viva e ricca, purché si abbia la volontà e l’intelligenza di indagare sui sentieri non percorsi della poesia italiana. La critica serve a questo, ad indicare nuove prospettive, nuovi orizzonti per ripensare meglio il nostro presente, per vederci con altri occhi e con altri occhiali.

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