NAVIDAD

A Natale ti aiuterò a salire le scale,
prendere il presepe,
rimettere a posto il colon con Intestinal Reset,
cambiando i vecchi Lines con Tena Lady.

Nessuno ti prometterà le stelle del Paradiso 
ma  notturni ghiacciati
con frequenze poetiche di rara uguaglianza,
stando sul divano  a vedere Stormy Weather.

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Lettera ad un poeta italiano di Giorgio Linguaglossa
caro Mario Gabriele,
un tempo si pensava che porre la questione del linguaggio fosse una cosa che riguardasse l’attivismo dell’autore, il linguaggio era un corpo, erano dei «materiali» dove si poteva entrare a piacimento con gli strumenti chirurgici offerti gratis dalla nuova scolastica che era data dallo sperimentalismo, intendo qui con questo termine anche tantissima parte di ciò che veniva volgarizzato dalla estrema destra letteraria: l’orfismo con le sue adiacenze, riflesso speculare della scolastica del pensiero positivizzato. Quando invece il linguaggio è una pre-condizione che non postula nulla di in-condizionato. Un paradosso nel paradosso. Il linguaggio è una pre-condizione che postula il nulla prima di esso.
La nostra Poetry kitchen o Kitsch poetry accetta questa impostazione esistenziale e categoriale, direi ontologica. Pensare di fare scrittura poetica sulla pre-condizione di un linguaggio assunto e adottato a scatola chiusa, pecca di pensiero positivizzato e acritico, in tale pratica è sottesa l’idea della poesia come atto di «verità» che il linguaggio ha solo il compito di scoprire, dis-velare. La disaccortezza epistemologica della poesia del senso e del sensorio cade nel suadente e nel suasorio dell’io ipotenusa, cade in un nulla di fatto, mi spiace dirlo a chi continua a pensare con un pensiero positivizzato che si risolve in un risultato; così si fa poesia da risultato pronto e sicuro, così si finisce in una filosofia da elettrodomestico, così si cede alla prospettiva salvifica di un approdo, che altro non è che il corridoio pavimentato e contro soffittato dall’io e dalle sue adiacenze e del divino con le sue adiacenze.
La poesia kitchen o kitsch è precipuamente un prendere cognizione della perdita di senso dell’uomo nel mondo attuale, tensione verso un fuori-significato che si dà in modo intermittente, instabile e che solo il linguaggio poetico è in grado di registrare, come in un sismogramma di un terremoto del nono grado della scala Mercalli. Occorre al più presto prendere cognizione che la significazione è sempre in procinto di periclitare nel fuori-significato e nel fuori-senso. Per esempio, la tua poesia non mette in atto alcun tentativo di afferrare il mondo, realtà recalcitrante che sempre sfugge, il mondo è già lì, nel tuo lessico ibridato inventariato in lessicogrammi che si gettano come fumogeni nella piazza dei manifestanti che manifesta per l’ordine del senso e del sensorio e per l’ordine del discorso suasorio che ne deriva. È questa la ragione del profondo sommovimento alla nitroglicerina che la tua poesia kitchen sommuove negli animi nobili che credono nella purificazione della lingua della tribù. La poesia kitchen è invece accompagnata dalla consapevolezza della profonda accidentalità dell’homo sapiens tanto più deiettato nell’epoca cibernetica, del cyborg e dei no-vax.
La pseudo poesia di chi adotta il richiamo al quotidiano è il frutto di un eco-equivoco: il quotidiano è sempre lo stesso di cento milioni di anni fa, nonostante la corruzione consumistica della attuale fase di civiltà.
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