La porta ètroite 2016 – In viaggio con Godot 2017

MARIO M. GABRIELE

(LA SCRITTURA PER FRAMMENTI)

di Giorgio Linguaglossa 

Vorrei scagliare una freccia in favore della scrittura per «frammenti». Che cosa significa? E perché? Innanzitutto, un presente assolutamente presente non esiste se non nella immaginazione dei filosofi assolutistici. Nel presente c’è sempre il non-presente. Ci sono dei varchi, dei vuoti, delle zone d’ombra che noi nella vita quotidiana non percepiamo, ma ci sono, sono identificabili. Così, una scrittura totalmente fonetica non esiste, poiché anche nella scrittura fonetica si danno elementi significanti non fonetizzabili: la punteggiatura, le spaziature, le virgolettature, i corsivi, ecc. La scrittura per «frammenti» implica l’impiego di una decostruzione riflessiva, la quale nella sua propria essenza, segue il tempo del «Presente» che sfugge di continuo, che si disloca. Il dislocante è dunque il «Presente» che si presenta sotto forma del «soggetto» significante (ricordiamoci che per Lacan il soggetto si instaura come rapporto con un significante e l’altro). Ma, appunto, proprio per l’essere una macchinazione significante, il «soggetto» non può mai raggiungere il pieno possesso del «significato». In base a queste premesse, una scrittura logologica o logocentrica, non è niente altro che un miraggio, il miraggio dell’Oasi del Presente come cosa identificabile e circoscritta, con il versus che segue il precedente credendo ingenuamente che qui si instauri una «continuità» nel tempo. Questa è una nobile utopia che però non corrisponde al vero.

Io dico una cosa molto semplice: che l’utilizzazione intensiva ad esempio della punteggiatura produce l’effetto non secondario di interrompere il «flusso continuo» che dà l’illusione del Presente; produce lo spezzettamento del presente, la sua dislo-cazione, la sua locomozione nel tempo. Introduce la differenza nel «presente». Il non dicibile abita dunque la struttura del «presente», fa sì che vengano in piena visibilità le differenze di senso, gli scarti, le zone d’ombra di cui il «presente» è costituito. Alla luce di quanto sopra, se seguiamo l’andatura strofica della poesia di Mario Gabriele, ci accorgeremo di quante interruzioni introdotte dalla punteggiatura ci siano, quante differenze introdotte dalla dislocazione del discorso poetico, interpretato non più come flusso unitario ma come un immagazzinamento di differenze, di salti, di zone d’ombra, di varchi.

Nella nuova poesia, come in questa di Mario Gabriele, non c’è un senso compiuto, totale e totalizzante. Il senso si decostruisce nel mentre si costruisce. Non si dà il senso ma i sensi. Una molteplicità di sensi e di punti di vista. Come in un cristallo, si ha una molteplicità di superfici riflettenti. Non si dà nessuna gerarchia tra le superfici riflettenti e i punti di vista. Si ha disseminazione e moltiplicazione del senso. Scopo della lettura è quello di mettere in evidenza gli scarti, i vuoti, le fratture, le discontinuità, le aporie, le strutture ideologiche e attanziali piuttosto che l’unità posticciamente intenzionata da un concetto totalizzante dell’opera d’arte che ha in mente un concetto imperiale di identità. La nuova poesia e il nuovo romanzo sono alieni dal concetto di sistema che tutto unifica, che tutto «identifica» (e tutto nientifica) e riduce ad identità, che tutto inghiotte in un progetto di identità, che tutto plasma a propria immagine, in vista di una rivendicazione dell’Altro e della differenza come grande impensato della tra-dizione filosofica occidentale. In questa accezione, la decostruzione è una conseguenza della riflessione filosofica di Martin Heidegger. Infatti il disegno della seconda sezione di Sein und Zeit – rimasta alla fase di mera progettazione, per la caratteristica inadeguatezza del linguaggio della metafisica – risuonava come una “distruzione della storia dell’ontologia“, in nome di una ontologia fenomenologica capace di assumere di «lasciar/far vedere il fenomeno per come esso si mostra» (Jacques Derrida) – a far luogo da un linguaggio rinnovato alla radice (ripensato), filosoficamente (nell’accezione ordinaria del termine) scandaloso.

da lombradelleparole.wordpress.com

 

Intervista di Linguaglossa a Mario M. Gabriele   su alcuni temi poetici e filosofici.

*

Domanda: Nel discorso poetico del tardo Novecento sono venuti a cadere le grandi narrazioni, restano i piccoli racconti dell’io solitario che accudisce la reificazione del discorso poetico ad uso privato del soggetto poetante. Oggi si assiste ad una “poesia” piena di episodi biografici, si crede ingenuamente che la propria biografia debba entrare nella forma-poesia. I tuoi libri, invece, si muovono in un orizzonte tematico e problematico. I tuoi ultimi libri: Le finestre di Magritte (2000), Bouquet (2002), Conversazione Galante (2004), Un burberry azzurro  (2008) e Ritratto di Signora (2014), «non sono correlati ad un determinato modello, ma ad una galleria di “soggetti” che, sottostanti il ritratto principale, si fondono in un’unica panoramica, dove la scrittura poetica si fa pellicola simbolica di microstorie pubbliche e private nate dalla “metamorfosi dell’oggetto”» (Luca Landolfi). La tua poesia invece adotta la citazione come metodo di composizione e di collage tra elementi disparati del mondo e di trasmissione dei valori estetici della tradizione.

Il metodo della citazione che tu adotti, questo del collage e della citazione, produce un rafforzamento plurilinguistico della comunicazione estetica; la citazione viene intesa come contigua alle esperienze denaturate del «valore di scambio» delle scritture pubblicitarie. Propriamente, la citazione è la costituzione della nostra biografia, siamo diventati citazione di qualcun’altro e di qualcosa d’altro. La tua poesia si nutre di citazioni culte, di cronotopi letterari, di films, di scritte della pubblicità, etc. come un mostro carnivoro si ciba di carni insanguinate, non può essere altrimenti e non può tradire il proprio DNA: è un mostro cannibalico che fagocita i segni e i segmenti semantici della tradizione ridotta ad emporio di citazioni in libera svendita.

Questa mia lettura ti trova d’accordo?

Risposta: Gli anni Sessanta hanno determinato la fine della poesia-racconto, come misura unica del testo, lasciando spazio a Correnti e Gruppi letterari, che si sono alternati nel tentativo di costituire un valido punto di riferimento, che in effetti non vi è stato, se si voglia sul piano delle verifiche controllare la loro sopravvivenza, spesso limitata a qualche decennio e anche meno, mentre una parte della critica letteraria si occupava  del nuovo percorso linguistico nel segno dello Strutturalismo. Viviani, Ottonieri, Ramous, Baino, ecc. sono stati i rappresentanti di una poesia anatomopatologica e dermoesfoliativa, oggi in stato di colliquazione come le antologie, omissive di nomi e opere, sostituite da quelle indirizzate verso la periodizzazione repertoriale, con giudizi critici di sopravvalutazione. Si è lasciato il campo ad autori dal balbettio terminale, fino a quando la loro stessa voce si è afonizzata. Non esiste ancora lo spazio per riempire il Vuoto con una poesia alternativa. Ogni poeta opera secondo la propria cultura e sensibilità. Da qui l’esplicazione di una visione della realtà che è, nel mio caso, repertorio di memorie, di figure femminili e di luoghi provenienti da un carotaggio psichico di diversa stratificazione. Non a caso Freud, sul significato di creazione artistica, riconduce ogni cosa alla sfera intima e mentale. Ho rifiutato il pentagramma lirico di vecchia classe istituzionale, per addentrarmi non nella cellula poetica degli oggetti, ma in quella dei soggetti vivi e morti, entrambi destinati all’oblio, e per questo motivo ne rivitalizzo la presenza-assenza con la citazione dei loro versi, che formano una doppia aura all’interno di un’unica cornice. Più in specifico, è l’adesione a un linguaggio inter-relazionale, che ricorda Eliot, ma anche il pensiero filosofico di Derrida, quando supera il concetto di finitudine dell’uomo, e lo traspone in un’altra dimensione: quella della scrittura, che rimane l’unica traccia visibile e duratura di uno scrittore. Da qui la nascita degli Autoritratti avvolti dalla metafora, come modello biottico di fusione nel testo principale. E’ ciò che accade un po’ nei miei volumi: Le finestre di Magritte, Bouquet, Conversazione galante, Ritratto di Signora, Un burberry azzurro e nell’Erba di Stonehenge, dove ricompongo l’estetica del verso per rinnovare il mito della vita lungo le strade del mondo, i cui eventi non si discostano molto dalla nostra sensibilità e cultura, pur essendo espressi con particelle linguistiche di diversa provenienza, nel tentativo, sempre più difficile, di trovare nuovi spazi alla poesia. La forma adottata è estranea a qualsiasi concetto di “moda”, poiché ho voluto ricondurre l’esercizio della scrittura alla libera invenzione della lingua, anche se poi, qualsiasi mezzo adoperato in poesia si logora da sé, subendo la contaminazione del tempo.

Domanda: Si parla oggi molto spesso di esperienze «non-reali», che l’autore non ha mai provato, delle esperienze del padre, del nonno e così via. Ma allora si scriva un romanzo! Ben più idoneo alla ricostruzione di una esperienza mai esperita. Nel romanzo questo è possibile, in poesia, no. Se nell’ipermarket tendono a scomparire i confini tra le varie tipologie di merci in un susseguirsi di produzione indifferenziata fondata sulla minima differenza e sul minimo scarto, oggi si assiste al medesimo fenomeno tra i generi artistici e, all’interno del genere, tra i singoli sotto-generi, de-vitalizzati a «genere indifferenziato». Avviene così che l’anello più debole, la forma-poesia, tenda a perdere i connotati di differenza e di riconoscibilità che un tempo lontano la identificava, per trasformarsi in un «contenitore», un «palinsesto», tenda ad un «genere indifferen-ziato», ad un non-stile indifferenziato, cosmopolitico e transpolitico. Negli autori di moda si tende alla chatpoetry, al pettegolezzo da lettino psicanalitico (Vivian Lamarque), pettegolezzo da intrattenimento ludico-ironico (Franco Marcoaldi), flusso di coscienza reificato e disconnesso, utopia agrituristica, monologo da basso continuo, soliloquio allo specchio con qualche complicazione intellettuale per assecondare gli utenti di una cultura di massa (Valerio Magrelli). Ma il post-moderno non può essere soltanto la riduzione della forma-poesia alle mode culturali, suo tratto distintivo è la tendenza «di sottrarsi alla logica del superamento, dello sviluppo e dell’innovazione. Da questo punto di vista, esso corrisponde allo sforzo heideggeriano di preparare un pensiero post-metafisico»,1) afferma Vattimo; ma se la tecnologia è la diretta conseguenza del dispiegamento della metafisica, un pensiero post-metafisico ci conduce da subito alla critica dell’ideologia del Progresso e alle istituzioni culturali che in tutto il Novecento hanno svolto il ruolo di supplenza e di sostegno.

Qual è il tuo pensiero in proposito?

Risposta: Nel momento in cui scompaiono i “confini tra le varie tipologie di merci e di generi artistici”, vengono a decadere anche le ragioni per cui si è creduto a un determinato modello economico e culturale. E’ il segno dei nostri tempi e delle mutate condizioni sociali dovute al consumismo. La verità è che siamo entrati in un mondo nel quale l’homo faber entra autono-mamente in un mercato di merci. consentendogli di “barattare, trafficare e scambiare una cosa per un’altra”, assumendo una specie di “sfera pubblica”, ma non politica, nel mercato di scambio dei rispettivi prodotti. Siamo lontani dalla alienazione marxiana e dal primo stadio di sottomissione capitalistica, ma molto vicini ad una autonomia commerciale, dove le cose “compaiono come merci per essere valutate o rifiutate”. Lo stesso discorso vale per la poesia, anch’essa ridotta a prodotto di consumo, nella molteplice varietà del linguaggio a servizio di una diplomazia lessicale, che vuole essere, come in effetti è, deterioramento del tessuto linguistico e fiches verbali in un gioco senza risultati.  La visibilità di questa merce non è il marchio di fabbrica, ma la proposizione  di versi che hanno un ‘unica direzione: la dissoluzione  finale. La poesia di oggi si proietta all’esterno come esercizio di scena: è teatro, “voice” in permanente esibizione, da cui partono poi le affiliazioni nel massimo grado della praticabilità e dei tecnicismi  riconducibili alle forme traslative e disgiuntive, verboiconiche e arcaiche, trasgressive e fono lessicali. Esistono, è vero, gli strumenti, ma non la ”qualità”. L’avvento della borghesia ha dischiuso le porte del mercato mondiale, dove le ideologie hanno perso valore, e l’unica forma che resiste è la merce di consumo. Con il tramonto della metafisica, e dei suoi valori assoluti, l’Essere “può venire esperito” secondo Vattimo, soltanto “debolmente”, come una struttura ondulante, rispetto al concetto di stabilità della metafisica. Una teoresi, scientifica o filosofica, può essere sempre sottoposta all’azione della falsificabilità nel momento in cui si riscontrino deduzioni, dichiaratamente incongrue e asimmetriche. E’ quanto si verifica nella poesia, esposta a significative contraddizioni e meta-morfosi, di fronte al continuo rapporto-scontro con il postmoderno, e la metafisica e, infine, con il postmetafisico, Appare, pertanto, possibile inda-gare su ogni categoria, con una critica sempre più revisionista, che propone congetture in continua evoluzione e fibrillazione di fronte alla trasmuta-bilità del Logos e dell’avanzamento del Progresso.

Domanda: Nell’odierno orizzonte culturale non c’è più una «filosofia della storia», così come non c’è più una «filosofia dell’arte». Con il tramonto del marxismo sono venute meno quelle esigenze del pensiero che pensa qualcosa d’altro fuori di se stesso. Quello che resta è un discorso sulla dissoluzione dell’Origine, del Fondamento, dissoluzione della Storia (ridotta a nient’altro che a una narrazione tra altre narrazioni), dissoluzione della narrazione, dissoluzione della Ragione narrante. È perfino ovvio che in questo quadro problematico anche il discorso poetico venga attinto dalla dissoluzione della propria sua legislazione interna. Il concetto di «contemporaneità» (come il concetto del «nuovo») è qualcosa che sfugge da tutte le parti, non riesci ad acciuffarlo che già è passato; legato all’attimo, esso è già sfumato non appena lo nominiamo.

Qual è la tua opinione?

Risposta: Credo, in questo caso, di dover citare J. F. Lyotard a cui va il merito della diffusione del termine post-moderno, e la conseguente nascita di una stagione filosofica, in cui il sapere si esterna non più per capitoli interi, ma per appunti di riflessione, chiari e sintetici, dopo la fine delle narrazioni. L’assenza di una filosofia della Storia e dell’Arte è da collegare, probabilmente, alla crisi della critica di fronte alle avanguardie e alle velocizzazioni tecnologiche, che si sono susseguite come trasformazione del capitalismo. Dopo anni di sociologismo politico e ideologico, è tempo di restituire all’Uomo più dignità, non riconosciuta dal comportamento aziendale dell’economia. Il futuro opera in modo che tutto sia condizionato dal progresso, ma quanto a riportare i parametri della vita e il decoro poetico a livelli accettabili non sembra facile. Si ha la sensazione che tutto questo sia il risultato di una alienazione esistenziale, economica e ideologica. L’uomo non trova più soddisfazione nei prodotti di consumo da lui creati. Si disarticola nell’accomodamento inerziale di fronte al progresso, senza alcuna identificazione nei confronti della Globalizzazione, che in effetti lo immiserisce, lo emargina, abituandolo alla inconsistenza dell’Essere. La demassificazione delle classi operaie, il progetto di un Nuovo Ordine Mondiale, e i conflitti geopolitici, con la costante invasione migratoria, non rendono la dialettica intorno alla poesia, terreno fertile di ogni discussione. Anzi, la crisi attuale la neutralizza, tanto che il mondo potrebbe benissimo fare a meno della sua presenza. Non esiste alcuna possibilità di resurrezione letteraria, perché tutto nasce e si dissolve non lasciando alcuna traccia, neanche la creatività dell’angoscia. Né si può dire di trovarci in una zona di attesa perché il crollo della società contrattualistica, con il sindacato messo alle corde, e l’annullamento del diritto di fronte alla supremazia del potere finanziario e del carattere tirannico delle democrazie, rendono astorici e nullificanti tutti i valori connessi alla poesia, alla narrazione, ad ogni fondamento costitutivo della Forma. Inoltre, i conflitti balcanici, la guerra in Medio Oriente e il terrorismo, sono stati gli ostacoli di maggiore frenaggio per la poesia  civile, la cui assenza è allarmante, per non dire sorprendente. Con molta probabilità ai poeti interessa l’IO e l’autobiografia, il ricorso alle succursali linguistiche novecentesche, la permanenza in un backstage fatto di maschere, e vuoto narcisismo, temporaneamente annullati dall’antologia di Ernesto Galli della Loggia  in “La Poesia Civile e Politica dell’Italia del Novecento”, BUR-Saggi, 2011. Tuttavia, esiste un “pendolo della letteratura”, la cui oscillazione va e viene, anche se bisogna partire da zero, dando alla poesia infusioni energetiche, in grado di tenerla in vita. Ma come iniziare questa avventura? Semplicemente prendendo ad esempio il pensiero di Hans Freyer in: “Società e Cultura,”  quando afferma che “la lingua deve definire, senza però ridursi a un resto amorfo,  deve dominare, e nello stesso tempo, colma sino all’orlo di significati deve scoppiare di forza espressiva”.  Chi ha voluto la dissoluzione dell’Origine, della Storia, dell’Arte, della Filosofia e di ogni altro Edificio culturale, ha tramato contro la stessa civiltà dell’uomo, conseguita dopo secoli di sacrifici, di rivoluzioni, di guerre, di ricerche scientifiche, per destabilizzare il pensiero polivalente e della Metafisica di Aristo-tele, che riconosce agli uomini il diritto di sapere contro l’ignoranza.

Domanda: Per Vattimo «si può dire probabilmente che l’esperienza post-moderna (e cioè, heideggerianamente, post-metafisica) della verità è un’esperienza estetica e retorica (…) riconoscere nell’esperienza estetica il modello dell’esperienza della verità significa anche accettare che questa ha a che fare con qualcosa di più che il puro e semplice senso comune, con dei “grumi” di senso più intensi dai quali soltanto può partire un discorso che non si limiti a duplicare l’esistente ma ritenga anche di poterlo criticare». 2)

Risposta: La via di svolta per l’uomo di tornare al proprio concetto di Essere, di fronte alla sua temporalità, trova in Heidegger uno dei maggiori sostenitori. Pensare è archiviare le superstizioni dando validità al pensiero scientifico, come credeva anche Einstein. Il postmetafisico agisce come un cambio di pagina nella storia del divenire critico e filosofico, smantellando un sistema culturale non più propositivo, attraverso l’esercizio del pensiero esplicante una critica opposta a tutto ciò che prima era istituzionalizzato e accettato. Uscire dalla considerazione dell’Essere, come soggetto integrato nella metafisica, e da cui ci si distacca soltanto riducendone i valori assoluti, significa per Vattimo “progettare” un iter filosofico nel momento in cui l’Occidente si è trovato di fronte al tramonto della metafisica, per cui l’unica via possibile era svincolare l’Essere, depotenziandolo dalla sua categoria, per continuare un discorso interpretativo e logico sulla realtà, dove l’Essere si minimizza in un frammento in rovina. Non sembrerà un indirizzo teoretico periferico o isolato se anche altri filosofi si sono espressi con ulteriori concetti critici, legati al binomio Teoria-Prassi, Totalità e Unità, Staticità e Critica: tutto un repertorio di temi al vaglio dell’Osservazione, come metodo di “Obiezione”, e di legittimo senso del superamento della mono-litica visione esternalista, dopo ogni caduta di tensione nella società.

Domanda: Possiamo allora affermare che la collocazione estetica della «verità» («la messa in opera della verità» di Heidegger) è l’unica ubicazione possibile, il solo luogo abitabile entro il raggio dell’odierno orizzonte di pensiero? Se intendiamo in senso post-moderno (e quindi post-metafisico) la definizione heideggeriana del nichilismo come «riduzione dell’essere al valore di scambio», possiamo comprendere appieno il tragitto intellettuale percorso da una parte considerevole della cultura critica: dalla «compiuta peccaminosità» del mondo delle merci del primo Lukacs alla odierna de-realizzazione delle merci che scorrono (come una fantasmagoria) dentro un gigantesco emporium, al «valore di scambio» come luogo della piena realizzazione dell’essere sociale: il percorso della «via inautentica» per accedere al Discorso poetico nei termini di cultura critica è qui una strada obbligata, lastricata dal corso della Storia. Della «totalità infranta» restano una miriade di frammenti che migrano ed emigrano verso l’esterno, la periferia. Il Discorso poetico (in accezione di esperienza del post-moderno) è appunto la costruzione che cementifica la molteplicità dei frammenti e li congloba in un conglomerato, li emulsiona in una gelatina stilistica, arrestandone, solo per un attimo, la dispersione verso e l’esterno e la periferia.

Risposta: La decostruzione della metafisica correlata al concetto di sostanza-presenza, con i fondamenti inattaccabili quali: Dio, l’Essere, il Soggetto, porta Heidegger a considerare l’esistenza nella sua realtà, fatta di angoscia e di nulla. Nel post-metafisico, vengono a decadere gli equilibri universali, per lasciare il posto a una logica, che rispecchi la verità, con le sue connotazioni di tipo socio-politico e culturale. Siamo all’interno di un ordinamento socio-culturale correlato al “sentire critico”, indirizzato verso varie ubicazioni, non ultima quella della scrittura poetica che si situa tra il tentativo di consolidamento e la frantumazione, tanto che alla fine, le giunture provvisorie non portano ad un impianto duraturo e armonico dell’edificio: il risultato, è quasi sempre lo sforzo di ricomporre l’unità linguistica e culturale, che dovrebbe essere riassorbita da una nuova civiltà letteraria e poetica, in assenza della quale bisognerà, continuamente, fare i conti con le proiezioni del pensiero e della continua riflessione critica e filosofica.

Domanda: La poesia moderna parte da qui, dalla presa di coscienza della rottamazione delle grandi narrazioni. La tua poesia parte da qui, è il tentativo di ripartire dal significato di una immagine, da una citazione, da un segno come effetto di superficie ed effetto di lontananza. Che cos’è l’effetto di superficie? Qualcosa che, proprio perché effetto, non appartiene a ciò che è originario: l’essenza, la coscienza, e che, non situandosi né all’altezza dell’Origine, né nella profondità della Coscienza, si presenta come pezzo di «superficie», relitto linguistico che galleggia nel mare del linguaggio, il reale subliminale che sta appena al di sotto della superficie della coscienza linguistica. Non bisogna con ciò intendere, né vorrei darlo ad intendere, che il senso sia qualcosa di diverso dal significato o che esso sia un «effetto» come se fosse un segno o un sintomo o un crittogramma di qualcos’altro (quel qualcos’altro che ha contraddistinto la civiltà del simbolismo in Europa); né bisogna intendere la stabilità del significato come qualcosa, appunto, di «stabile», ovvero, non modificabile almeno per un certo periodo. Infatti, mi chiedo, può esistere qualcosa di «stabile» all’interno della fluidificazione universale? – Ciò di cui il significato «è», lo è in quanto senso, sensato, appartenente al sensorio (e che gira e rigira intorno all’oggetto); possiamo dire quindi che il senso abita l’immagine, il significato, ovvero, il sensorio? Forse.

I personaggi delle tue poesie sono gli equivalenti dei quasi-morti, immersi, gli uni e gli altri, in una contestura dove il casuale e l’effimero sono le categorie dello spirito (le categorie dello scambio simbolico), essi sì che corrispondono allo scambio economico-monetario al pari delle pagine di un medesimo foglio bianco che attende la scrittura. Al pari della moneta anche la parola poetica vive ed è reale soltanto nello scambio simbolico (ma qui il discorso si allungherebbe). Anche se è da dire che nel tessuto fisico-chimico della tua poesia penetrano (osmoticamente, e quindi ideologica-mente) lacerti, lemmi e immagini del linguaggio poetico orfico che si sono sedimentati appena sotto la superficie del testo, indebolendo (più che rafforzando) il passo della sintassi (claudicante in quanto non più originaria, non più ordo rerum né più ordo verborum).

Risposta: Devo ammettere che il discorso si sta orientando verso un piano di dialettica filosofico-letteraria nel tentativo di ricomporre un Corpo, restituendogli la sua Forma. Difficile amalgamare le evaporazioni del Tempo e del Presente riunendole osmoticamente, nella vita e nella poesia. Ci siamo addentrati non solo nelle terre della oggettività, ma anche in quelle della soggettività fasciandole di filosofia. La fine del linguaggio narrativo ha caratterizzato il secondo Novecento, trascinandosi dietro la deregulation poetica e linguistica, che ha allontanato l’interesse della critica e del lettore. Ci sono volumi di poesie che sono pagine bianche, le stesse che si trovano al Centro del Nulla. Si tratta, quasi sempre, di una poesia priva di latitudini e di cartelli indicativi che possano indirizzare il poeta e il lettore, verso qualcosa di durevole. che non è realizzabile perché è nel cromosoma della Natura, fonte essa stessa di vita e di morte, di senso e contro senso. Ipotizzando, per un attimo, la precarietà del significato, quando ti poni la domanda: “Esiste qualcosa di stabile all’interno della fluidificazione universale, almeno per un certo periodo?”, la risposta scientifica più valida la potrebbe dare il noto astrofisico inglese Stephen Hawking; ma, da buon Osservatore delle cose e Propositore di progetti quale sei, già la conosci, ben sapendo che ”l’effetto di superficie”, come lo definisci, ha una frequenza brevissima, come il Big Ben della Torre di Londra. Quanto ai lemmi, ai lacerti e alle immagini da te riscontrati nella lettura dei miei versi, mi richiamo a quanto già detto sulla mia poesia, a inizio del nostro colloquio, consapevole che anch’essa, quale agglomerato di frammenti, appena sotto la superficie, rimanga in attesa del dissolvimento, come tutte le cose inserite nel mondo. Devo qui richiamare Deleuze? Penso di si quando sostiene che la teoria del senso non è legata in alcun modo a qualcosa di eterno o al suo radicamento nella profondità della coscienza.

Domanda: «Effetto di superficie» è, secondo Deleuze, sia il senso che il non-senso. Per Deleuze il senso non è una totalità organica perduta, o da edificarsi (come utopia) ma è un evento, sempre individuato, singolare, costitutivamente in forma di frammento in rovina, ed è il prodotto di una «assenza» costituita (non originaria) autodislo-cantesi. È sempre una assenza di Fondamento che produce il senso, ed è futile stare oggi a registrare con malinconia la fine dei Fondamenti o la fine del Fondamento dell’«io» come fa la poesia a pendio elegiaco o la poesia che si aggrappa agli «oggetti» come un naufrago al salvagente, per il semplice fatto che non c’è alcun salvagente a portata dello «Spirito», non c’è nessuna «utopia» che ci riscatti dal «quotidiano» o dal viaggio turistico (la transumanza della odierna poesia da turismo elegiaco che si fa in camera da letto o in camera da pranzo, tra un caffé, un aperitivo e un chinotto, o in un improbabile bosco con tanto di margherite e vasi di geranio ben accuditi). La tua poesia non sfugge a questa problematica, ci sta dentro come nel suo elemento marino. Anzi, trae da questa situazione la propria forza di vitalità e la propria giustificazione di esistere.

Sbaglio o ho colto nel segno?

Risposta: Deleuze ha cercato di creare un pensiero su filosofia e letteratura, positivismo e psicoanalisi, focalizzando l’attenzione sul senso del pensare, come risulta nel suo volume: Logica del senso. Il pensiero è l’atto dell’indagare come in altri filosofi: Nietzsche, Bergson, Kant, Spinoza, Hume e Leibniz. Estraneo alla metafisica, Deleuze approda ad una distinzione del pensiero per superare l’opposizione fra due contrasti come può essere ad esempio la staticità e il movimento.

Quindi nessun approccio al concetto di eternità e al suo radicamento nelle viscere della coscienza e dell’Idealismo. Secondo Deleuze, è l’impreve-dibilità del caso a generare il senso che non si produce dall’azione di un soggetto. E’ libero di agire non essendo legato a nessun vincolo. Si genera da sé, riducendo altezze e profondità,  finito e infinito, in un dualismo sottoposto sempre alla verifica dell’inconscio. Il “senso” come  tu dici, Giorgio, “è un evento in forma di “frammento in rovina”, che può adattarsi a tutti i fenomeni esterni, privo di approdi salvifici per la poesia nel dissolvimento dell’IO e di tutti i Fondamenti, senza alcuna possibilità di salvezza a ”portata dello “Spirito”, per uscire dal calendario giornaliero e dalla marginalità dell’essere qui e ora, essendo noi stessi frammenti di un Principio (Vita) e del suo controsenso, rappresentato dalla (Morte).Tranne le argomentazioni religiose, è evidente che la filosofia del razionalismo ateo non riesca a dare un “Centro” se non quello di un “polo” negativo, trasformando l’Essere in un non Essere, secondo il pensiero di Heidegger, così come la poesia che, una volta dissacrati i costumi dell’estetica, si minimalizza, proiettandosi nel passato e nel presente con i suoi frammenti in rovina. Ciò porta il poeta a rimanere in una camera buia, in attesa, che tornino senso, forma e contenuti: ossia la luce. (ma poi mi chiedo, verrà mai questo bagliore?). Alla domanda se la mia poesia è in sintonia con ciò che hai esposto, o ipotizzato a chiusura della tua intervista, ti invito a considerare questa mia similitudine quando paragono la poesia a un cristallo dai molteplici riflessi, che hai saputo captare con profondo spirito di osservazione, segno evidente che sottoponi a giusta critica ciò che leggi e senza tariffario. Ringraziandoti per l’attenzione e la gentile ospitalità, ti esprimo i miei più cordiali saluti e auguri di buon lavoro. Mario M. Gabriele.

1) Gianni Vattimo La fine della modernità Milano, Garzanti, 1985 p. 114

2) Gianni Vattimo La fine della modernità Milano, Garzanti, 1985 pp. 20, 21

da: Lombradelleparole.wordpress.com


TESTI POETICI

 

1

Una fila di caravan al centro della piazza

con gente venuta da Trescore e da Milano

ad ascoltare Licinio:-Questa è Yasmina da Madhia

che nella vita ha tradito e amato,

per questo la lasceremo ai lupi e ai cani,

getteremo le ceneri nel Paranà

dove abbondano i piranha,

risaliremo la collina delle croci

a lenire i giorni penduli come melograni,

perché sia fatta la nostra volontà.-

Un gobbo si fermò davanti al centurione

dicendo:- Questo è l’uomo che ha macchiato

le tavole di Krsna, distrutto il carro di Rukmi,

non ha avuto pietà per Kamadeva,

rubato gioielli e incenso dagli altari di Nuova Delhi.-

-Allora lasciatelo alla frusta di Clara e di Francesca,

alla Miseria e alla Misericordia.

Domani le vigne saranno rosse

anche se non è ancora autunno

e spunta il ruscus in mezzo ai rovi-, così parlò Licinio.

Un profumo di rauwolfia veniva dal fondo dei sepolcri.

Carlino guardava le donne di Cracovia,

da dietro i vetri Palmira ci salutava

per chissà quale esilio o viaggio.

Nonna Eliodora da giugno era scomparsa.

Mia amata, qui scorrono i giorni

come fossero fiumi e la speranza è così lontana.

Dimmi solo se a Boston ci sarai,

se si accendono le luci a Newbury Street.

Era triste Bobby quando lesse il Day By Day.

Oh il tuo cadeau, Patsy, nel giorno di Natale!

2

Una  collina a due passi dal cielo.

Pochi alberi sulla scogliera e kayak alla riva.

Passa il giorno staffetta.

Ma è Amy che  trucca le carte.

E’ Amy che scrive di cieli sereni nei suoi poemi.

Dondi vende parcheggi.

Nei suoi depliant ci sono quadri

e fioriere con gigli e tulipani.

-Si, è Pasqua, veniamo a trovarvi

mie care ombre lontane,

lasciate anche a noi un piccolo spazio.-

Alle Molinette rimanesti un mese Dorian.

Prima di Ravenna non c’erano stanze dove fermarsi.

La porte étroite si apriva e chiudeva.

Da un giardino venivano e uscivano angeli tristi.

Cadevano cetre senza più corde.

Una sera il figlio di Lara tradusse Triperuno in inglese.

Non dirlo a nessuno, Margareth,

se il vestito di Sammy non era adatto

per i campi del cielo.

Smettila di stare alla finestra a guardare se passa Willy.

A Blondy non diremo nulla che possa irritarlo:

neanche se le ombre della mente

col tempo diventano grizzly.

3

Un leggio senza spartiti per pianoforte e orchestra.

Il cruccio di Donovan dopo il gioco delle tre carte.

Il giorno che finisce, occhi asciutti e nessuna luce;

ma tutto il cottage non regge: tutta la vita, Hayden!

Ci batterai la testa, sarà come il rubinetto che cola,

il Circolo di Warren Daddy sempre chiuso.

Una Signora con steli di dalia e pause di respiro,

si ferma su per il colle e giù per la King William Street.

Il tempo fa rapine, agita le clessidre.

Miss. Lory segna chi va e chi viene,

aggiorna il calendario mentre l’anno se ne va.

Si cambiano gli almanacchi.

C’è un raduno in Piazza Oberdan.

Uno di sinistra, uno senza bandiera e slogan

legge la Steppa di Tarkovskij.

Un campesino aspetta il suo turno.

Ce ne andiamo tu ed io

lungo la strada per Guildford

a cercare Jabberwochy

tra gli squarci della giornata

e il fumo dei bistrot.

Tornarono gli amici del Delaware

a rinnovare febbri di tristezza,

sotto la balaustra dei ribes di settembre.

Mai più di un giorno sono stato nel Kentucky,

qui la vita si è fatta già discesa.

Fu il grande Slam

a portarci al Being myself  della Navratilova.

Il passato, se lo incontri, è una ringhiera

dove non irrompono i mulinelli d’acqua

e si recita a soggetto Maurice Bejart

sotto  il poster color lumaca e old time.

4

La malattia era da tempo un serpente boa.

Hellen vedeva il mondo a doppia rifrazione.

Ieri occhi azzurri hanno incontrato la primavera

e a Green Village, per fortuna,

i crickets cantano ancora.

Un day Hospital da dimenticare con tutti quei visi

cui avrebbe fatto bene un po’ di sole.

Questa volta parleremo chiaro con Buttler

di non darci più le griffe truccate

quando sarà l’ora del viaggio.

Questo è il secolo che non perdona.

Si, leggo Eliot e Marlowe e tanti libri di anime pie.

Il paradiso, se qui c’è, è una conversazione galante

con Kelly e la sorella di Webster.

Sulla chioma dei pioppi la neve era già sciolta.

C’era sul comodino un vaso di gigli e di rose scarlatte,

un abat-jour con lampada Led.

La voce di Tommy sembrava uno squittio nella stanza

come di un falco pellegrino.

Il Bacio di Klimt stava in biblioteca,

la sabbia sotto il viso del Caravaggio.

Uno spleen scendeva sopra le case.

Rividi  l’infanzia, le foto di Humphry e di Elisabeth.

-Non voglio bruciarti standoti accanto-,

confessò Hellen.

Le accarezzai il viso, le tolsi il fondotinta dermablend.

Giocavo col pensiero, giocavo

come i fanciulli del Vieux Chateau finiti nel fango.

-Ma guarda un po’- disse la volontaria del Saint Club.

-Anche ieri non ha mangiato.

A volte, non respira, dorme-.

Allora Jasmin cominciò a scrivere, e prendere appunti,

si rivolse al custode del Cielo, ma  era chiuso il castello.

5

Ci sono miracoli che non vedi.

Le lancette a mezzanotte.

Ti fermi e guardi il mondo scorrere.

Piccoli prodigi portano le ore.

I giorni di febbraio sempre più corti e amari.

E poi uno gli vien da dire perché siamo qui.

A Vienna Sigmund trovò la via.

Le mazurke d’Europa.

Sempre viaggi nei giorni dell’anno.

Fuori di casa, qualcosa verrà:

cadeau o memorie d’amore.

La pittrice Veronica Asmund

ricorda i colori di De Kooning.

L’unica cosa che piaceva a nonna Eliodora

era un collier etoile de Paris,

ma quando venne l’ora di uscire dal ghetto

volle leggere Lady Lazarus,

prima di inoltrarsi nel bosco 

di ortiche e rose di maggio.

Lucy, attenta agli oroscopi,

seguiva il segno del Capricorno.

Per due mesi raccogliemmo gambi d’avena.

Marisa aprì le imposte,

 donò la vecchia Singer a una ragazza del borgo.

-Resterete qui con la polvere della terra-

sentenziò una voce.

La notte ha mille ragioni per celare i segreti.

Tornammo al passato,

alle strette del cuore di Lady Caudilla

e a tutte le preghiere nel Coventry House.

Pensa tu, a ritrovarci domani

nel giardino delle mimose!

6

Il campo all’aperto offriva  orizzonti.

Scorrevano  fiumi  e quotidiani delitti.

Benny pensava ai giardini pensili.

C’era  chi attendeva i portatori d’acqua e di caffè,

chi scriveva epitaffi sulle pagine di Carver.

-Difficile, Mister Swanson, passare per Dresda

e Muhelberg. Non ci sono voli sicuri,

né oggi, né domani. Sorry!-.

Lady Marina veniva da Londra

con un volo della Lufthansa,

dopo  aver lasciato fiori

a Patsy O’Hara e a Novodevichy.

Lucy aspettava la pioggia

leggendo l’Handelsblatt.

Restava la collera di Baldus

tradito dall’Acquario.

 Io, che  rimasi nel tuo cuore, Milena,

 mi dolsi della fuga della mulatta dell’Ecuador.

Oh mia vita, non ci sono anfratti

per sfuggire ai tulipani!

Oggi Dory, ha lasciato il Dio di Menen

 per restare sola e senza preghiere.

-Vi incontrerò domani nei quartieri alti della città

 per ascoltare i vostri dolori-,

confessò Patrick. E c’era chi voleva vedere

la casa di Aldibrandi  salvata dalle acque.

Natanilova  è graziosa:  ha un accento russo marcato

e legge pagine  da: Una giornata  di Ivan Denissovic

di Solzenicyn. Sostituite le vecchie lampade al neon,

ora la casa è chiara e ospitale e nessuno

pensa  più al passaggio sul Nilo e ai fiori per Shiva.

7

La nebbia che vedesti

celava i portali di Villa San Giovanni.

Fissarti stava nel potere dell’iride,

arrossata dai pollini d’aprile.

Più del passato ti inasprisce ora

il turbinio del vento.

Si va sui binari,

colmi d’erba e di sterpaglia.

Ha ragione Marcus

quando dice che il tempo non ha più spiagge.

Arrivi anche tu a questa riva,

né io so condurti al vecchio faro. 

La tempesta ha lasciato ruderi

sull’isola di Crusoe.

Pochi anni e non so più come salvarti

dalla voce che ti chiama.

Veronica mi guardò

invitandomi ad un cocktail party.

Parlò di Madhvan Muni e di Balarama.

Non dissi nulla, attento ai labrador.

Lei lasciò la torcia. Tornò il buio.

-Seguimi- gridò. E fu tutto un tacito andare

con le cose del bivacco.

-Non abbreviare il tuo viaggio-,

farfugliò la sensitiva

con la carta dell’impiccato.

C’erano nella garconniére

una custodia con sette spade,

uno spartito di Handel,

 due o tre coppe di Jack Daniels.

-Anche lei è della confraternita?-,

chiese la bionda norvegese.

Judith non sapeva che rispondere.

Il giorno dopo ci fu un viaggio allo scoperto

e una lezione alla Bernard School.

A sera, Padre Stone preparava Giselle

per le nozze di settembre.

Questo lo può dire, Signor Brandberg,

se prendendo il largo ci sono ancora

piranha e squali.

La signorina Elliot rifece il letto,

cacciò i sette peccati capitali.

Non si sa più nulla di tutta la polvere caduta.

8

Risalimmo il fiume salvato dal garbino.

Un’eco venne dai colli di Ripamonte.

Nostra fu la diaspora nella sera.

Si diceva del bene di Jèrome:

ma era solo un non ti scordar di me

per Monnalisa e la troupe del vintage.

Il resto lo fece una parafrasi di Corneille.

Nicole invitò figuranti e partigiane

nell’atto unico di teatro:

 un souvenir per Primo Levi

in: Se questo è un uomo.

La polvere stava nel cavo della mano,

come la sabbia nel fondo della clessidra.

Manuele  era  fuori dal turnover.

Qualcosa passerà dal filamento

alla cruna dell’ago.

Inutile parlare di Shakespeare.

Ma  Carol ha voluto visitare Stratford-on-Avon e poi

Mont Blank e il lago di Windermer.

Si portava dietro il fantasma

di Anne Hathaway e di Julius Caesar.

9

L’inverno si tenne lontano dagli stipiti. A casa, c’erano allodole e tucani. Profumava di muschio il mese di dicembre. Un ricercatore si fermò davanti alle figure  di Rauschenberg. A St. Louis non c’era una lapide a ricordare Sweeney. –Chi passa di qui non lascia mai una traccia, – disse il guardiano, mentre una musica veniva dai sottofondi, sembrava Unforgettable di Natalie Cole. Lungo le strade non c’erano insegne. Kafka uscì distrutto nel Processo. Ci fu un Assassinio nella Cattedrale! Un placebo è stato l’elisir nella notte. C’è chi ricorda il Funeral Blues di Auden. L’amico di un tempo dimenticò Gillian. Non fu piacevole rivedere la casa in via delle dalie n. 10. A San Lorenzo vedremo di nuovo cadere le stelle. Oh come è cambiata la tua vita, Jenny, da quando ti sei fermata a Stratford! La tempesta fu di lunga durata. Ma poi l’ouverture ricompose lo spartito. Ci sono un mucchio di foto che a Sweeney piacerebbe mandare con i dialoghi di Dusty e Doris.  Giose è rimasto con Benedetta in Guysterland e con le piccole gocce di lacrime amare. Quando non è nel Vermont manda romances and poems. Non basta un dollaro per incontrare la Bella Carnap fatta di pelle di capra e zoccoli d’oro. Sally non ama l’inverno. Vende tessuti a pochi penny al metro e non è un affare. Mr.Jones le regala balsami del Celeste Impero. Westminster offre più occasioni e non è Babilonia. La madre di Sally sa che ci vuole altro per vivere tranquille, anche se da sempre va ripetendo a chi la incontra per strada: many a day has passed since then (molti giorni sono passati da allora).

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IN VIAGGIO CON GODOT

 

INTRODUZIONE

 

Commento impolitico di Giorgio Linguaglossa:

 

La poesia ologrammatica di Mario M. Gabriele. Un orizzonte posizionale di lettura del mondo degli eventi – La «nuova poesia» e la «nuova ontologia estetica»

(…) La poesia di Mario Gabriele è atetica, non-apofantica, pluritonica, varioritmica. Non dichiara se questo o quello è vero o falso, autentico o disautentico. Parte dall’assunto che i contrari sono il riflesso di una «non-presenza», di un Altro, di un Ologramma che non ha senso dire se sia vero o falso, autentico o disautentico. Esso è lì come Inganno e Reale. «Nella lingua non ci sono termini positivi, ma solo differenze», scriveva Saussure. È dal rapporto sincronico tra i vari termini, nel loro gioco differenziale, che si genera l’identità di una significazione. E la poesia di Mario Gabriele, nel suo scetticismo integrale, prende atto di questo gioco neutro delle differenze. Fa una poesia delle differenze e degli scarti. È il suo modo di costruire per «frammenti» e per «ologrammi».

Heidegger nella sua opera In cammino verso il linguaggio, scrive: «Il Dire originario è il modo in cui l’Ereignis [l’evento] parla: modo non tanto come maniera, quanto piuttosto come melos, come il canto che dice cantando». Heidegger postula un «Dire originario», ma noi sappiamo che esso esiste come «traccia» di un qualcosa che non le preesiste, di un passato che non è mai stato presente e che non può essere rievocato. Il filosofo tedesco non dice che le Muse sono nove e che il loro canto è «discorde», per cui ciascuna di esse canta un proprio canto incomprensibile alle altre. Oggi noi sappiamo che dietro quel «Dire originario» non c’è nulla, non c’è una struttura originaria se non in qualcosa di simile alla onda gravitazionale di fondo dell’universo che ha avuto inizio all’atto del big bang. Non c’è alcun dire originario al quale il canto degli aedi ritorna. Non c’è nessun canto e basta. Ci sono una molteplicità di canti dacché i poeti sono stati deprivati di quella antica relazione privilegiata che li univa al dire originario…

 

La «traccia», scrive Emmanuel Lévinas, è «un passato che non è mai stato presente», cioè la dimensione di un Altro che non si è mai presentata ne potrà mai presentarsi, che Derrida non esita ad assimilare alla nozione psicoanalitica di inconscio: «con l’alterità dell’”inconscio” abbiamo a che fare non con degli orizzonti di presenti modificati – passati o a venire – ma con un “passato” che non è mai stato presente e che non lo sarà mai, il cui “avvenire” non sarà mai la produzione o la riproduzione nella forma della presenza. Il concetto di traccia è dunque incommensurabile con quello di ritenzione, di divenir-passato di ciò che è stato presente. Non si può pensare la traccia – e dunque la différance – a partire dal presente, o dalla presenza del presente» (in “La diffèrance“). Come la nozione freudiana di inconscio, il concetto di traccia assume una funzione antifenomenologica, nel senso che costituisce un ordine di alterità per definizione irrappresentabile, o rappresentabile soltanto attraverso un insieme di sostituzioni: «e per descriverle, per leggere le tracce delle tracce “inconsce” (non c’è traccia “cosciente”), il linguaggio della presenza o dell’assenza, il discorso metafisico della fenomenologia è inadeguato».

Diciamo subito che le poesie di Mario Gabriele vivono come costellazione di frammenti, citazioni, entità subatomiche,  che costituiscono un orizzonte posizionale di lettura del mondo degli eventi. La citazione è un «frammento», ma «frammento» sta qui a significare una nozione analoga a quella di «traccia». Se c’è un ordine o un disordine del senso, è la traccia, il frammento, la citazione che possono condurci in prossimità di esso; l’ordine del senso della coscienza, della presenza, e di tutto il sistema concettuale da esse regolato, cioè l’insieme stesso della metafisica, non corrisponde affatto alla verità delle cose, esso è semplicemente falso. È proprio la «traccia», la «citazione», il «frammento» che ce lo dicono, al di là di essi c’è la «non-presenza», un ordine sostitutivo della metafisica tradizionale basata sulla «presenza dell’essere», e quindi del senso delle cose. La poesia di Gabriele non pone in dubbio il principio di Severino di «immediatezza e incontraddittorietà dell’essere», nel pensiero poetico di Gabriele c’è una indagine sull’esistenza, ci sono atomi traccianti la loro direzionalità, c’è una tracciabilità di minutissimi «frammenti» che non conducono in alcun luogo; o meglio, conducono alla certezza che ciò che credevamo «incontraddittorio» e «immediato» si rivela essere proditoriamente contraddittorio, mediato e mediatizzato, e che il nostro universo è un gigantesco ologramma tessuto di tracce instabili, probabilistiche, aleatorie, irreali… Siamo qui in presenza di una poesia altamente inquietante, che mette in discussione tutte le nostre residuali certezze.

Nella poesia di Mario Gabriele siamo in presenza della «non-presenza», ciò che è diventato assente in quanto non è mai stato presente; il carattere logocentrico della metafisica viene svelato per quello che è: una condizione limitata alla «presenza» delle «cose». Ma, se le cose non sono presenti, e forse non sono altro che parte di un gigantesco ologramma, ecco che  il «frammento» si incarica di svelare che il loro «essere» altro non è che degli ologrammi proiettati sulla pagina bidimensionale dell’apparenza. I «frammenti» sono detonazioni. Viene qui un’altra conseguenza da questa impostazione: la impresentabilità di ogni poesia che crede di abitare stabilmente nel posto occupato dalle «cose». Ne deriva che la coscienza non è altro che la traccia «visibile» dell’inconscio, della «non presenza». Ed è proprio questa la funzione del «frammento», quella di rendere visibile l’orma mnestica della traccia quale assolutizzazione di una «non-presenza».  Questa filosofia del «frammento» è pensabile soltanto entro le coordinate di uno scetticismo assoluto circa le virtù taumaturgiche di una fenomenologia dello Spirito e del Reale la cui metafisica tradizionale viene ad essere ribaltata di sana pianta. Con un gioco heideggeriano di parole direi che il «frammento» è uno Spiegel im Spiegel (Specchio nello Specchio), è la modalità dell’essere immaginario dell’esserci, rivela la mancanza di qualsiasi Fondamento, di qualsiasi Struttura Originaria, ovvero, la non-presenza di ciò che non è mai stato presente, che è già la traccia di un apparire, dell’apparire del «vuoto».

Con le parole di Derrida: «Il supplemento viene al posto di un cedimento, di un non-significato o di un non-rappresentato, di una non-presenza. Non c’è nessun presente prima di esso, è quindi preceduto solo da se stesso, cioè da un altro supplemento. Il supplemento è sempre il supplemento di un supplemento».

Una tale «logica del supplemento» o della «traccia», che noi chiamiamo «frammento» è quindi il concetto fondamentale della «nuova poesia», non più fondata sull’essere dell’ontologia novecentesca che considerava il metro e il verso come unità quantitative stabili e che partiva dal presupposto che è possibile dire «ciò che c’è» con il linguaggio della continuità, ma una ontologia estetica fondata sull’essere di ciò che non è presente e non è mai stato presente, sull’assente. Il distinguo è di fondamentale importanza: ne deriva che non possiamo dire nulla circa il suo «essere», che non c’è un linguaggio corrispondente a quell’«essere», e che al massimo c’è un linguaggio come sostituzione, traslato di quell’«essere» che, comunque, resta lontanissimo, irraggiungibile. Il «frammento» della «nuova poesia» rivela questo: la traccia di ciò che non c’è, che non si presenta né può mai presentarsi nel mondo dei realia. L’antica ontologia dominata da sempre dal principio di identità viene ad essere sostituita da una ontologia fondata su una differenzialità originaria, sullo scarto, sulla cesura, sulla censura. Essa corrisponde alla forma indecidibile del «né…né…», del tertium datur con cui viene scardinata la razionalità metafìsica fondata sui princìpi di non contraddizione e del terzo escluso.

da: L’ombra delle parole del 29 dicembre 2016.

 

 

 

(…)

 

UNA RIFLESSIONE SULLE IMMAGINI NELLA POESIA

DI MARIO M. GABRIELE

 

Il soggetto è quel sorgere che, appena prima,

come soggetto, non era niente, ma che,

appena apparso, si fissa in significante.

  1. Lacan – seminario XI

 

È possibile entrare all’interno della significazione delle poesie di Mario Gabriele, e più in generale delle poesie che rispondono al requisito delle immagini impersonali, facendo riferimento al concetto di «Fantasma» e di «soggetto» in Lacan. Vi è una condizione che potremmo definire necessaria se non imprenscindibile: al livello dell’enunciato l’io manca. Le immagini di queste poesie riguardano infatti in un primo tempo “ altri ”: si tratta di altri personaggi, di altri soggetti, di altre situazioni tutti presi in prestito dalla cultura della nostra civiltà globale. Ma le immagini appaiono anche come articolazioni intemporali, impersonali e incantatorie che eludono ogni riferimento diretto al soggetto dell’enunciazione. Eppure, è proprio in virtù di questa anonimia che il fantasma consente al soggetto di articolare, e così facendo negare, lo smarrimento e il vuoto di fronte a cui il soggetto precipita una volta posto di fronte alla «Cosa»: il fantasma rappresenta la finzione che prelude alla verità del soggetto come mancanza a essere, finzione attraverso cui si articola quell’al di là del desiderio – desiderio di nulla e nulla del desiderio al contempo – che Lacan designa, sulla scorta della nozione freudiana di istinto di morte, come godimento.

 

Il fantasma, in quanto finzione, presenta così il limite dell’ordine simbolico, quanto al contempo tiene in piedi e delimita il confine fra la dimensione del senso e quella del godimento, tra senso ed essere, tra quanto resta sussunto alle leggi del significante e quanto trova la sua perentoria legge nella coazione a ripetere, in quella sorta di zona anestetica dell’esistenza che è l’istinto di morte. È dunque inevitabile che il fantasma di cui parla Lacan, sia per se stesso legato a una dimensione liminale, a una sorta di sipario chiuso oltre il quale resta velato quel nulla dell’infondantezza del soggetto, quel vuoto di significanti in cui si “manifesta” la Cosa. Tale limite, giocando con l’omofonia tra deserto e disessere, Lacan lo definisce «désêtre».

Il «fantasma», per Lacan, accoglie in una sola scena le due facce del linguaggio, la tensione tra dicibile e indicibile. Analogamente, le immagini fantasmatiche nella poesia di Gabriele accolgono, nella scena primaria della rappresentazione linguistica, il vuoto che sta prima di ogni atto linguistico: quel vuoto di soggetto e vuoto di cosa che fonda il sistema significato di questo tipo di poesia, un sistema significato fatto di vuoto, di mancanza di linguaggio. È questa la novità della procedura per immagini della poesia di Mario Gabriele. E non è poco.

 

È qui evidente la dimensione oscura del rapporto che lega il soggetto al linguaggio, la misura della sua articolazione, di coabitazione spaesante.Non si può dare alcun “ fenomeno dell’esistenza”, dice Lacan, se non all’interno di una dimensione che potremmo definire “originariamente linguistica”, determinata cioè dall’Altro come luogo della parola e fondata così sulla totalità dell’ordine simbolico in quanto ordine causativo del soggetto. Non si può cioè fare del linguaggio l’oggetto di una visione diretta in quanto il linguaggio è esso stesso quel presupposto che consente la visione. Il linguaggio, ci dice Agamben, è ciò che deve necessariamente presupporre se stesso. Il che significa che, come tale, esso è ciò che in ultima istanza manca di presupposto, e questo mancare si dà come esperienza irriducibile, come condizione stessa affinché via sia linguaggio.

Dire che non c’è metalinguaggio significa così affermare che ogni dire – e lo stesso ordine significante – si smarrisce una volta posto di fronte ai suoi presupposti; o altrimenti, che la Cosa del linguaggio, la parola ultima, non si pone che come «mancante», non c’è cioè alcun linguaggio della Cosa.1]

 

1] Si veda, J. Lacan, Écrits, Édition de Seuil, Paris 1966; trad. it. a cura di G. B. Contri, Scritti 2 voll., Einaudi, Torino 2002; in particolare Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, pp. 815-16: «Partiamo dalla concezione dell’Altro come luogo del significante. Ogni enunciato d’autorità non trova in esso altra garanzia che la sua stessa enunciazione, perché è vano che la cerchi in un altro significante, che in nessun modo potrebbe apparire fuori da questo luogo. Cosa che formuliamo col dire che non c’è un metalinguaggio che possa esser parlato o, più aforisticamente, che non c’è Altro dell’Altro».

Nella famosa asserzione di Lacan: «il significante rappresenta un soggetto per un altro significante», è dato per scontato che il soggetto si sposta, scivola lungo la «catena significante», non è, propriamente, in nessun luogo, esso è un vuoto, una mancanza che si struttura e parla attraverso la catena significante… Nella poesia di Mario Gabriele le immagini stanno per la «catena significante», inseguono un altro significante che si trova dappresso, in contiguità, in posizione sintagmatica e che sfugge di continuo. Ed è disutile chiedersi che cosa significhino le singole immagini, esse significano nel senso del significante, che additano sempre ad un’altra immagine significante in posizione sintagmatica…

Il linguaggio è quanto ci svia, non occasionalmente, bensì costitutivamente. E in cosa ci svia? Nella possibilità di formulare la domanda “chi sono? ” e nell’impossibilità, allo stesso tempo, di reperire una risposta, nell’ostacolo che il linguaggio presenta verso ogni appello all’essenza, all’essere. Sottolineare la dimensione rappresentativa del linguaggio non vuol dire così altro che segnalare la distanza, la differenza, l’alterità, e altresì la spaziatura che divarica il soggetto dal suo essere.

Scrive Giorgio Agamben: «Il fondamento di questa ambiguità del significante è in quella frattura originale della presenza che è inseparabile dall’esperienza occidentale dell’essere e per la quale tutto ciò che viene alla presenza, viene alla presenza come luogo di un differimento e di un’esclusione, nel senso che il suo manifestarsi è, nello stesso tempo, un nascondersi, il suo esser presente un mancare».1]

Le citazioni, le immagini della poesia di Gabriele non sono altro che «un elemento associativo, combinatorio», ciò che nel linguaggio lacaniano vuol dire «significante» e «catena significante».

In fin dei conti, possiamo dire che Gabriele prende atto che il linguaggio non rappresenta l’essere, e ne trae le conseguenze.

 

1] G. Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 1977,1993 e 2006, pp. 160-1.

 

Giorgio Linguaglossa

da: L’Ombra delle parole,  14/12/2016

 

 

                            IN VIAGGIO CON GODOT

 

CANTOS

 

I

 

Un Ermitage con combine-paintings

di Rauschenberg

e un guardiano al limite degli anni

dove chi va oltre non lascia traccia;

-tanto vale restare qui-,

disse Alicia che temeva il cambio di stagione.

 

Non è stato facile lasciare la casa in via delle Dalie.

Giose è rimasto con Benedetta in Guysterland *

e con le piccole gocce di lacrime amare.

Quando non è nel Vermont

manda romances and poems.

Non basta un dollaro per incontrare la Bella Carnap

fatta di pelle di capra e zoccoli d’oro.

 

Sweeney ha oltrepassato il confine,

lasciando un Frammento di prologo

dopo aver salutato per sempre Mrs.Turner.

Abbiamo trovato serpenti nel giardino.

Una sofferenza l’ha patita la farfalla

prima di volare sul concerto

per pianoforte e orchestra di Richter.

 

Kafka uscì distrutto nel Processo.

Ci fu chi riferì su l’Assassinio nella Cattedrale,

ma i vecchi del borgo giocavano a poker

senza fare nomi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

II

 

Donna Evelina piantò le orchidee nel giardino.

Lucy mi volle con sé a vedere l’erba sotto la pietra.

Un abate ci invitò a salvare l’anima.

-La città – disse, -è un luogo proibito

e l’azzurro è il centro dell’iride-.

Un cappellino di velluto rosso

accolse le lacrime dal cielo

come un’acquasantiera.

Alle nostre panchine tornammo

a spargere semi,

germogliando e appassendo dentro casa.

 

A piedi nudi ci avviammo

in un bosco di prataioli notturni.

Il freddo ci lasciò contriti,

non indietreggiò davanti ai rami

abbattuti dalla neve.

Non sapeva che da lì, a breve,

sarebbero venute le idi di marzo.

 

Fernandez non conosceva Caroline in Sickness.

-Buenos dias, Senior. Siamo turisti,

veniamo dal Sud per vedere Guernica

e il Ritratto con Maternità

su fondo bianco di Francoise Gilot

e dei suoi due bambini. Ne sa qualcosa?-.

-Yo no tengo mucha idea de cuáles son los lugares:

más interesantes de esta zona pero me han hablado

del Teatro National-.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

III

 

Sulla Swiss Air leggemmo i racconti ginevrini

e la Salamandra di Octavio Paz.

Si fa colazione insieme, questa mattina, Miriam,

dopo il saccheggio dei sogni.

La notte è cuscino e coperta.

Oh, Principessa, qui davvero comincia il count down!

La stanza accumula fumi, si ridesta al mattino.

Tutto si rallegra in un Buon giorno Madame.

La terra è un braciere. Non vale discuterne ancora.

Già le cose, come sono, ci spezzano le dita.

Non c’è porto sicuro dove andare.

Aspettiamo un miracolo

da Nostra Signora di Guadalupe.

Ora siamo in due a sognare una gita

non prima aver chiuso il giardino,

ritoccato il viso a Marybloom,

così non può dire che la giovinezza è sparita.

L’anno è passato.

La pioggia rivuole le sue note da pianoforte.

Una musica dal sottoscala saliva al cielo.

Natalie Cole cantava Unforgettable.

Ora i miei morti sono quelli che non ricordo.

Gli altri, figuranti nella memoria,

vivono in orizzonti stretti,

se ne stanno in silenzio nel giardino di Klingsor.

 

 

 

 

 

 

 

*Giose Rimanelli, professore di letteratura italiana e comparata all’università di Stato di New York ad Albany. Scrive in italiano e in inglese. Ha pubblicato numerose opere  tra cui  il romanzo: “Tiro al piccione” Mondadori (1953), da cui fu tratto anche un film.

 

 

2

 

Da tempo  più non leggiamo Le Metamorfosi,

la lettera di Freud al dottor F.S.Krauss.

Nella metrò  c’era chi prendeva il largo,

chi pattuiva con il silenzio

il preambolo con la morte.

Una modesta proposta ci venne incontro.

Furono gettate le reti a sinistra della barca,

fatte  le oblazioni  nel silenzio della sera.

C’era  neve  a New York, pioggia  a Bangkok.

Il primo attore della Compagnia Arti e Mestieri

divagò  sulle  12  maschere dell’anno.

Come un àspide  tornò il dilemma inglese.

Provaci ancora Hamlet!

Un ospite  tradì  i commensali  fuggendo  nel pineto.

-Cercatelo  in ogni luogo-, disse  il capo ai serventi.

-Gli faremo la conta dei suoi averi,

lo passeremo ai chiodi

e alla Vergine di Norimberga,

e a chi sa usare la garrota:

sarà cibo per  gli anni  futuri-.

Un cherubino, senza fissa dimora,

lasciò  sugli altari croci di frassino puro.

Saverio  parlò della Condizione umana.

Un vecchio si prostrò ai nostri piedi,

lasciando il libro di Rut, la spigolatrice.

-Pregate  per  me- supplicò,

-e per  tutto  ciò che ho amato e odiato-.

Abram non ha mai cercato la vita interiore.

Fu dopo l’happy new year

che  cominciammo a sfogliare gli almanacchi,

senza  guardare  il viso sfiorito di Nöel.

 

 

 

 

 

 

 

 

3

 

Sei venuta  ai miti fuochi di San Simeone

a dire, se dire si può ancora

in questo transito fuggevole di cose:

-sumus et eramus-.

 

Altra via non so indicarti

se non quella che conduce ai falsi prataioli.

Tornare indietro col muschio a Natale?

Troppo vento  si è alzato dai tetti!

-Welcome  back-, disse il sommelier

offrendo gin-tonic al turista di Grenoble.

 

Karima governa la casa,

cura  i quadri di Lucio Fontana.

In autunno  torna a Bratislava.

A volte insegue  le rondini,

ma sono anni che non le vedo.

Così mi ricorda la colf indiana

che faceva del nido l’altare per il suo Buddha.

 

Milano ti chiama, Carlos.

Ogni giorno è una fuga.

Meglio restare alla finestra

tracciando ideogrammi sui vetri bagnati.

L’inverno prepara esche.

Le suorine della San Vincenzo

erano andate al Carrefour markt

con gli amici dell’Africa nera.

 

A casa dei Beckett lasciammo i tormenti.

Nella Chamber music Dimitry Sitkovetsky

e Gabriella Montero finirono il concerto

per coro e orchestra.

Nell’ultimo happening tornò Valmorbia,

terra dove non annotta

sulla polvere degli anni e dei morti.

 

 

 

4

 

Una lettera nella cassettiera.

Due o tre riviste letterarie: Il Caffè di Vicari

e i Quaderni piacentini.

La signora Dominich senza più un memorial day.

Non ti riconobbi più

con le scarpine di pelle di lòntra.

Il primo poster alle pareti:

Il Moulin de la Galette di Picasso:

girandola di danza con due Madame

al tavolino in primo piano. Festa borghese.

Era stretta la stanza. Il gatto in allarme.

Uno stabsunterroffizier cercava Daniele.

Anni 60. Il bello dell’Hermitage.

Qualcuno doveva aver abbandonato

la Cappella Sistina e il Ponte dei sospiri.

La ragazza Carla  mi lasciò un fil rouge.

Alle sette apriva il Magazine.

Nel fortilizio Gina attendeva uomini e cani.

Fu un inganno la Befana.

Ma per Jodie tutto era un teatro.

Ritornava marzo con i campi di mais.

Si spezzò il fil rouge.

Non ho mai capito chi fosse il baro,

se il tempo o la luna.

Abbiamo sempre avute le malinconie.

-Piccolina! Qui c’è solo Sigmund

a prenderti per mano-.

Non abbiamo fatto nulla,

se non restituire la vita ogni giorno.

Le sedie non hanno retto.

Due volte, soltanto due volte,

ci fu una fuga sui monti matesini.

L’abbiamo giocato alla roulette

il jolly del biscazziere,

e ora tu bussi alla porta, Miss Memory?

 

 

 

 

5

 

Abbiamo fatto il cammino a ritroso,

conteggiati gli scalini del tempo,

disperse le ceneri così come ci fu detto e scritto.

La signora Meyer non va più sul balcone.

Ha un trenino per Times Square.

Non aspetta il Natale.

Prepara l’acqua ai re Magi.

Intinge la bocca ai moribondi.

-Dove  tu morirai-, dissi,- morirò anch’io-.

Allora  quelli  che sopravvissero

alle parole di padre Orwell

si fermarono prima del buio

a guardare le stelle cadere.

Cosa migliore non può venire da Herbert,

sempre attaccato alle piccole cose.

L’anno scorso  siamo andati a sentire

i cantori di Africa World.

Non so come dirti ma la spiga di grano

ha sempre una punta per ferire.

Shervin ha finito il diario di giornata,

e pensare che ogni pagina è come una foglia.

Matilde, a quest’ora, accende il barbecue.

C’è sempre qualcosa che si dissolve o rimane.

Non puoi essere come la madre di Summer

che sembra un orologio a pendolo.

Chissà cosa dirà la ragazza del Campus

ora che la casa è senza formiche

e i muri hanno i colori di Pollock.

Se questa tristezza non andrà via

sarà dura l’estate.

Pierrot  ha uno strano modo di fare regali.

 

 

 

 

 

 

 

 

6

 

Linda guardò l’Origine del mondo di William Blake.

In principio era il Verbo.

Poi venne la luce divisa dalle tenebre.

Il mare si popolò di meduse e il cielo di volatili.

Nel Giardino maturò l’inganno,

la carne divenne cenere e la notte eterna-.

Così parlò padre Oddone da Larino.

Remember me!

 

Nel Museo Condè splendevano le miniature

dei Fratelli Limbourg.

Uno speaker avvisò i turisti

di non oltrepassare le transenne.

-Prima di voi- disse,

-ci sono le piaghe del mondo e di Aleppo-.

Citò i passi da Esodo 3,1-12,

i Vangeli Apocrifi e quelli di Luca e Giovanni.

 

Oggi è un altro giorno. Piove.

Non ferma la domenica

neanche il Kyrie Eleison.

Il blunotte ci sta dietro.

Ti scrivo da Kovice,

ma è come se fossi a Brest

o sotto il ponte di Londra

dove scorrono i fantasmi

di un’Europa di zattere e canoe,

con una folla che non ha mai visto bonsai

e primule di maggio.

 

Odette si fermò a Walterplatz.

Scrisse appunti brevi come haiku

sulle pagine del Die Welt.

Lasciò ciclamini e primeroses

sulle tombe a Magdeburg

e in via San Giovanni,

dove anche  la tua  lampada,

mammy, era spenta.

 

7

 

Un inverno più credele degli altri.

Vuote le chiese, deserti gli snack bar.

-Né Dio, né il Caso- disse il vento

-hanno rimosso le foglie sul selciato-.

Amelich citò dai Salmi i Capitoli 1-5-6- .

Notte bianca prima della neve.

Il giorno in cui regalai  i fiori di pesco a Marisa

la stagione aveva già dato tutto del suo carnet.

 

Usciti dalla nebbia le cose divennero chiare.

La Signora Rose cadde in deliquio

sull’ultima rampa di scale.

 

Sono fedele a te, notturno lamento.

Volano  i rondoni oltre la certosa.

                     Freedom!

Promettimi, Ketty,

che da questo bow-window

lascerai  per sempre le fantasie.

Quando  padre  Milton scese dal pulpito

a dire che ogni rosa nasce dai rovi,

un ladro di fiori pensò di farne un tesoro.

 

Henri Rousseau ha dipinto il Sogno.

Sarebbe stato un dolce Nirvana la notte

se  avesse picchiato alla porta.

Raccogliere  briciole di pane  a Stefania,

per  darle ai Cavalieri dell’Apocalisse,

era  come truccare il desiderio d’amore

celato per anni.

Durante la pioggia ci fermammo

sotto il crinale e altri racconti.

Nostre  erano le cose perdute  il Venerdì Santo.

Maria Magdalena in ginocchio

scavava  sotto la terra

a cercare la fine della Croce.

 

 

 

8

 

Muta la stagione in labili scrosci.

Se usciamo all’aperto

è per andare  nei centri commerciali.

Non ha più alcuna bellezza l’Angelo Azzurro

di Josef von Stemberg.

L’orologio segnava le 18.

Si era fermata  la sera.

Welcome- disse  il giovane turista a Marlene

mentre saliva le scale.

Al teatro Volksbuhne

andava in scena Berlin Alexsanderplatz di Doblin.

In un poster Dante si perdeva nell’Inferno.

Rifacemmo  il viso a Goethe.

Ma poi dicevi che occorreva  uno sguardo da cacciatore

per stanare la belva nel bosco.

Le mosche  volanti negli occhi.

Qui si altera tutto!

Il triciclo  a Bombay  portava  fiori a Shiva

per una grazia a Geltrude Bisleri.

Questa è la tipica notte di aurore boreali.

Il male alla schiena.

Sempre fitte al quadrante sinistro.

Sul collo di Blenda

c’è un angioma che sembra un graffio di gatto.

Oh Daddy, se esci all’aperto,

zittisci il cane alla porta,

e il suono arrabbiato del sax

che gocciola bava, e invece è una lacrima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

9

 

Lisa svuotò i cassetti

prima di tornare a Mokra Gora

salvando le Ultime lettere di Jacopo Ortis.

 

Un Principe emanò editti.

Fu allora che Padre Woods

tornò anima tra le anime nel deserto.

 

Un altro Urlo Ginsberg?

Le stagioni hanno cambiato colore

e questa che viene non è chiara

come la notte di San Lorenzo.

 

Una musica accompagnò  i fiori sui carri.

Ce ne sono in giro di racconti!

Ma se Harry è uno che li narra,

devi crederci, Violetta,

come quando suona la campana a Westminster.

 

Scese la notte con lingua di iguana.

Darkin profumò le stanze

dopo aver cercato i fiori di bosco.

 

Rubinia non conosceva la geometria degli astri,

portò cestelli di frutta ai 12 Apostoli

fermandosi nel parking hotel

a collezionare marenghi e ori.

Charles voleva spenderli bene.

Al teatro Ariston era di scena la Bohème.

 

Ti spiegherò tutto domani.

Non sarà certo un happy day,

ma ogni cosa ha un ritmo lento,

come le tradotte del 38 nella vecchia Detroit.

 

 

 

 

 

10

 

Una mostra di quadri di Ermengaldo

nella città di striscioni e Street Art,

seguendo  il destino già segnato,

e chi potrà mai distrarci dai sogni

abbattuti come foglie, mon amour?

Una passione per  il Crazy Horse.

Ci  arrivammo attraversando motorways e piccole città.

La vita  spaccata in due e di tanto in tanto,

arrivi e partenze su vecchie  barcarole.

 

Non piangere più di tanto sul passato, Dolly!

C’è una Passione in giro,

come in Jesus Christ Superstar.

 

I souvenir li lasceremo

quando  fuggiranno le allodole dei pensieri

e Ketty sarà come Lady Chatterley.

 

Naomi ha una corona di spine

tra il sacro e il profano.

Gli scudisci lasciano segni

più dei ricordi di Piccadilly Square.

 

A Porto Marghera l’estate non era finita.

Si discuteva sull’autunno al caffè Ambrosetti.

I cambi di stagione non hanno cadenze fisse,

si protraggono nel tempo come la vita e la morte.

l’Eurostar si fermò prima del Bataclan.

Marlene si è rifatta viva.

All’Auditorium di Santa Cecilia bisogna  entrare leggeri

come una rondine, non come una piuma.

 

 

 

 

 

 

 

11

 

La luce stava nelle mani dell’alba.

Cessò l’allarme per le vie.

Venne il giorno delle trasparenze.

Catherine sapeva che non c’erano sbocchi

nei suoi discorsi di bandiere a mezz’asta.

 

Di questo  parlai con la vedova Gilmor.

Non ebbi uno sguardo,

né una carezza sul viso.

 

Sulla quercia segnai le primavere perdute.

Trovammo  reperti  fossili

a Zimbabwe e a Kimberley.

Priscott  ricordò le donne di Venosa.

Il passato è un’ombra nella mente.

Non c’é motivo per andare o restare.

Le ore passano, fanno il loro giro.

 

Nessun sogno è tra noi, Mister King!

Sono di nuovo apparse le candele

a Washington Street e a Jacksonville.

 

Non sempre capisco il tuo male, Markus!

Ogni rumore è una tromba per il gatto Manonskij.

 

La donna di Machu Picchu

ha creato un Moses veneziano

contro le tristezze della sera.

 

Abbiamo  fatto di  tutto

per togliere  la muffa dalle pareti,

anche coprendo gli spazi con le piume di mare.

Oggi la bionda attrice di burlesque

ha piantato i semi nel giardino.

Chissà se li vedremo fiorire domani.

 

 

12

 

In silenzio appassì il giglio.

Signora Schneider,oggi è il suo compleanno

e un altro petalo se ne va!

Questa mattina siamo andati a cercare fiori,

ma c’erano germogli

e barchette di sogno nello Spittelmarkt.

 

La sera fummo vicini a Wisley

che vedeva fantasmi  nella stanza.

Per ore rimanemmo  inchiodati ai tavolini

aspettando Veronica Strauss

con gli ultimi oroscopi e un nuovo spartito.

 

George volle fare un altro viaggio

prima di finire le vacanze.

L’ispettore Franz  scoprì il trucco delle quattro stagioni.

 

Abbiamo consumato gli occhi

leggendo  Domusday Book e Our Afterlife,

eppure c’è stato qualcosa

che ci ha fatto superare le notti di paura.

 

Due strassekinder indicarono la strada per Birkenau.

Un down sulla carrozzella

inseguiva le api nella mente.

 

Cominciammo a cercare  negozi e iPod

per  fermare  le mani del tempo sul viso di Clara,

prima di lasciare RosaLuxemburgplatz

e  tanta  gente davanti al teatro,

per Malone muore.

 

 

 

 

 

 

 

13

L’uragano  fece vittime

mentre leggevi il manoscritto di Van High.

Sul ponte brillava l’insegna di uno slum.

Cercammo  la strada per il ritorno,

ma  era come perdersi  lungo la tangenziale.

Un libro di versi devi scrivere, Giusy,

quando si sdoppia l’anima  e si cerca la luce

di un limpido abbaglio.

 

C’è una statuina di gesso che ogni notte illumina

la Morgue.

Suor Angelina ha ritirato le offerte.

Lontano  è il tempo delle veneziane.

Hai serrato la porta ma non hai visto  l’Orsa  Maggiore.

C’è più tradizione in questo dicembre senza neve

che nelle tue quartine di metonimie.

 

Miriam voleva un giorno di sogno.

Non ho più sentito la Carmen di Bizet,

né la sirena del Quarto Polo di stanza nel Distretto.

 

Riaprono le vetrine.

Brillano le insegne di Palace Hotel.

 

Susanna prende il  metrò delle sette

lasciando le borse Vuitton

e il doberman a guardia della casa.

 

Leggo Kerouac dove l’avevo lasciato  ieri.

Vuote le cassette della posta.

Non è più come un tempo.

Uno  ricompose  l’anima

dopo la collera di Balarama.

La metastoria, dicevi, non è utopia,

ma il pendolo di Foucault.

 

 

 

 

14

 

Le nubi aprirono varchi all’orizzonte.

Una solitaria tristezza prese il viottolo

senza pigolii d’uccelli allo sbaraglio.

Alla British School si replicava Molly Bloom.

 

Quando  inviai le foto di Natale a Giusy

qualcuno del gruppo era già fuori rotta.

 

Se mi lasciassi andare

neanche il dottor Barney

avrebbe consigli da darmi.

Non capisco perché Lucy abbia lasciato New York.

Ci  fu un dissidio al suo  ritorno.

 

La ragazza venuta dal Sud cercava la sala

del concerto di Sergej Prokof’ev.

 

Un barcaiolo aprì un varco

alle colombe vestite di nero.

 

Mary era la maggiore di tre sorelle

che si piegava ad ogni comando

anche al- come here- del turista di Grenoble.

 

Le opere lasciate al giardiniere

erano diventate ginestre nel deserto.

Jung  ha lasciato carte segrete.

Non é la prima volta che Toffin

le sfoglia cercando il male oscuro.

E’ un mistero, Yvonne,

ma le anime di ieri sono già tutte sparite.

 

 

 

 

 

 

 

 

15

 

Il tempo  mise in allarme le allodole.

Caddero èmbrici e foglie.

Più volte suonò il postino a casa di Hendrius

senza  la sirena e il cane Wolf.

 

Un Giudice si fece largo tra la folla,

lesse i Codici,  pronunciando  la sentenza.

-Non c’è salvezza per nessuno,

né per la  rosa, né per la  viola-,

concluse  il dicitore alla fine del processo.

 

Matius oltrepassò il fiume Joaquin

mantenendo la promessa,

poi salì sul monte Annapurna

a guardare la tempesta.

 

Un concertista si fece avanti

suonando l’Inverno di Vivaldi,

spandendo l’ombra sopra i girasoli.

 

Appassì il campo germinato.

Tornarono mattino e sera

sulle città dell’anima.

Suor Angelina rese omaggio ad Aprile

tornato con le rondini sul davanzale.

Restare  a casa la sera,

calda o fresca che sia la stanza,

è trascorrere le ore in un battito d’ala.

 

Si  spopolò il borgo.

Pianse il geranio la fine dei suoi giorni.

Fummo un solo pensiero e un’unica radice.

Chi andò oltre l’arcobaleno

portò via l’anima imperfetta.

 

 

 

 

 

 

Un uomo, ai bordi della strada,

lasciò campanule e prime viole.

Nostra fu la sera discesa dal monte

a zittire il fischio delle serpi,

il canto dei balestrucci.

 

Chiamammo Virginia

perché allontanasse i cani

dagli ulivi  impauriti.

 

Robert non lesse più Genesi 2 Samuele,

e a durare ora sono le cuspidi al mattino,

la frusta che schiocca e s’attorciglia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

16

 

Denise non temeva il jet lag e amava viaggiare.

Due posti per Vancouver li aveva prenotati.

Ma è assurdo pensare a oceani e mari

quando  si sta così bene accanto ai falò ed è Natale.

 

Non siamo né Carroll, né Lara

e non sappiamo nulla degli universi perduti.

Il dottor Mingus vive in Alabama,

ha attrezzature per la pesca

e una bara di lusso nella stanza.

 

Mi stupirei se lungo il volo

si parlasse dei quanti.

Nella valigia c’è un Confucio di creta.

Lucy è serena. Non teme i cambi di voli.

 

Buttley, che dice?

Neppure Padre Vincent lo capisce!

E’ una questione di spine e sacrifici del cuore.

 

Ci sono in ogni città cimiteri e fontane.

Ma uno come Frank se ne sta alla larga.

Dice che è meglio così.

Ci mancava anche questo pensiero!

Va a finire che gli verranno le vertigini.

E’ solo un’idea. Ma c’è qualcosa di vero

fino a quando arriveremo nella valle degli Incas

e ad Arequipa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

17

 

Colori instabili passarono davanti agli occhi.

Il piccolo Andrea aveva poco più di sette anni

quando Nonna Eliodora salì al cielo.

La casa era fatta di sabbia e paglia

a due passi dall’officina Borletti

con poche finestre tremanti

nelle notti di vento e di luna piena.

Qui lasciai il mio nome con inchiostro di china.

Famelico il tempo corrose le ultime sillabe.

 

Lady Maria coltiva piante di arnica

e ha un quadro di Jim Dine del 59.

Penso ad Abram, che in tutti questi anni

non ha mai trovato la vita divertente,

se non nei giochi di alta tensione.

 

Quando alzammo i bicchieri

era gia venuto il nuovo anno.

 

Ramirez voleva tornare a Torino

con le startup  e un volo low cost.

-Dime qué direcciòn debo tomar?-

-Vuoi partire?- gli dissi,-Està bien!

All’airport ci sono carreteras

e i giorni qui sono corti  come ad Algeciras

e tristi come Gli occhi della notte di Ana Rossetti-.

 

Nel domuspark in via Alfedena

si stava bene guardando l’azzurro

come i quadri del dottor Strauss

col suo sestetto di arie viennesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

18

 

Il fare gentile di Milena, con tutte le trecce

e forcine, prima della fuga in Egitto,

sempre intrisa di profumo Lancôme,

ricordava la bluegirl del 68

mentre leggeva pagine da Cuore di cane.

 

Non farci caso se ogni tanto ritorno al passato,

se da ogni angolo buio

escono streghe e ippogrifi,

se di fronte, e a volte di spalle allo specchio,

si proiettano occulti riflessi.

 

Certi  libri a Torino nei giorni Cult di luglio

sembravano  tovaglie colorate.

 

Hedeline ha lasciato il Bahrain,

non conosce il Paradigma di Hulme.

Nella Berlitz  School è tornato Joyce

con la Chamber Music e Gente di Dublino.

 

Ci fermiamo nella stanza

per non restare fuori tra sangue e arena.

 

Clifford Still è al museo.

Un coyote è di guardia  la notte.

Minnie sta male.

C’è chi rovista negli armadi,

chi ha già portato via le pagodine cinesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

19

 

Un’orchestra senza archi e violini.

-Ma che musica è ?- disse Beethoven,

cercando la sinfonia  in Re minore.

-E’un funeral blues-, rispose zia Molly,

-uno di quelli che suonano i niggers

nel quartiere di Queens-.

 

Le funivie da tempo sono in standby.

Questo viaggio non era da farsi.

Così  stasera  restiamo da Nancy

a sentire le canzoni dello squallore.

L’uomo  che annaffia le primule

ha  tradito i ragazzi  di padre Mingus.

 

La signora Timberlane,

prima di lasciare ogni cosa,

ha pensato anche a Benny

finito il Dominus Vobiscum.

 

La bella di marzo è tornata.

Ladra di notte, la luna ha celato la faccia.

La zattera al largo imbarca acqua.

Dal fronte del porto nessuno segnala avarie.

Ho una love story con il mondo, Kandy,

anche se domani tornano stormi d’uccelli e di locuste,

e non potrò più regalare bouquet alla ragazza del pub.

Isotta Borromeo mi scrive, air way,

di essere sola nella sua casa a tre piani,

con veduta sul mare a New York.

 

Sul terrazzo ha piantato orchidee

–così- dice, -non avrò più bisogno dei giardinieri

e l’estate sarà lunga a sfiorire-.

Ci sono, è vero, distanze incolmabili.

Tenere  viva una storia

è come andare sulla collina

a sentire musica d’angeli.

Così, almeno, non affonda la barca.

 

20

 

In te convergono le luci della sera

ignote a chi si fece estraneo

alle feste di fine anno.

 

Non di gridi s’affolla la tua gola ma di parole.

Pincipio e fine s’alternano nell’universo

e il tempo non ha pietà per il quadrifoglio

dopo  gli allarmi delle sirene,

giusto il tempo per mutare il grido delle rondini

in un silenzio di clausura.

 

Cleveland  era lontana.

Cronwell  lesse il Libro di Rut,

citando i passi della promessa e dell’alleanza.

 

Nel Kunsthistorisches Museum

brillava il Peccato Originale di Hugo van der Goes.

A Parigi il croupier cambiava il gioco delle carte.

Beckett aspettava il Finale di partita.

Il salto del soriano lasciò intatte le centurie sul divano.

Il nostro mondo si era frantumato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21

 

E  se anche Natale non fosse Natale

e le cose non avessero un nome,

due rozzi copricapi per mascherare il volto,

mentre piove e  nessuno sa

se il pianto è quello di un cherubino.

Letizia ha rinunciato alle nozze

per  i ragazzi in Namibia.

Le ciminiere sono al colmo della fuliggine.

Brucia il palazzo. Si cercano indizi.

Qualcuno è riuscito a fuggire. E’ notte.

Padre Mingus dall’alto del pulpito

racconta la storia di Giuseppe tradito dai fratelli.

Devi dirlo Robert:- il quartiere  è sempre in rovina-.

Barnsey ha rimosso le antenne della TV.

Abbiamo ascoltato I Tamburi nella notte di Brecht,

conservato un fasciame di spighe di grano.

Quando portavo i fiori a Marisa

mi chiedeva sempre il perché.

La sera  ha un gran da fare

nel chiudere  le finestre a Oliver

che vuol dormire  senza ascoltare  i crickets.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

22

 

A  casa di Morrison si concluse il Patto.

Furono messi all’asta il Bene e il Male.

 

I frati della Congrega

si sparpagliarono per il mondo

passando per le Cinque Terre,

portando via bachi da seta

e cinque haiku di Matsuo Basho.

 

Un alfiere chiamò le anime a Piazza d’armi.

I morti uscirono dal tunnel

fermandosi chi nei pub,

chi nelle vecchie camere da letto.

 

Questa mattina siamo stati nel giardino di Klingsor

a vedere come stanno le cose.

L’ingresso era chiuso.

La chiave gettata nel pozzo.

Ida da tempo non stava più bene.

Un signore andava in giro chiedendo monete

per l’Africa World.

 

Il profeta deve aver fatto paura quando disse:

-Lascerete qui pelle e ossa -.

Francoise de Mulier non ce la fa più

a reggere l’amore di Arnold.

La vita è tutto questo?

-Un po’ di più, un po’ di meno, ma è così-.

– E che altro? Non so dire!-

Uno, due, tre colpi d’asta battè il direttore d’orchestra

sul concerto dei Pink Floid.

Uno dopo l’altro lasciamo ogni giorno

gli anelli di nozze sui tavolini al confine.

Scandisce di nuovo il suo tocco il Big Ben.

Sono riapparsi  i fantasmi della Senna.

 

 

 

 

23

 

Un’estate finita già prima di cominciare.

Clary aveva fretta di cambiare i fiori sulle tombe.

Rifacemmo tutto d’accapo

dimenticando il soggiorno a Pankow.

 

Lucio provvide a rimuovere il barbecue sul terrazzo.

Un grido si levò nella notte.

Al piano di sopra si udivano calpestii.

La figlia di Alex correva nelle stanze.

Nulla che tu potessi fare per stare tranquilli,

neanche fermare il mese con i suoi arnesi da scasso,

già irritato per mancanza di frutti nel bosco.

 

Marina aprì la porta a William Carlos Williams

con il suo Spring and All.

Pochi versi per chiudere la notte,

più delle preghiere che ci stavano addosso.

 

Non abbiano nulla da dire

se non che l’acqua gocciola dal rubinetto,

e la porta d’ingresso cigola sempre.

Patrizia ha finito lo stage.

E’ rimasta più di un mese

nel Giardino dei Finzi Contini

a cercare germogli, le prime rose del mese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

24

 

La notte gelò i prodigi nel pineto.

Clarissa aspettava le benedizioni promesse.

Ai passeggeri del  sogno

furono condonati i peccati.

Balaam predisse oracoli oscuri.

Ci fu chi trovò la chiave dei testi di Timbuktu.

Al Tempio venivano profeti.

 

Cornelius chiamò le anime all’aperto

facendo di un popolo un’unica catena.

Non disse nulla su David e Betsabea.

Il  vento rimosse la polvere sui tetti.

Al Caffè delle Sette Lune tornò Brodskij

con le Elegie Romane.

Una esistenza tranquilla chiese Caroline

dopo i delitti della natura.

 

Se stasera mi vuoi nei tuoi sogni, Lucy,

non lasciarmi più solo!

Ci sono i Blu Garden e le short stories

per uscire dal ventre del nulla,

anche se la stagione ha serpenti e meduse

e nessuno riesce a trovare una strada

in questa città di camini abbattuti.

 

Nella mente tornò We came along this road.

Ma era tutta una Waste Land.

Una ragazza, sotto il portale,

aveva un iPod fra le mani.

Bianchi manichini erano in un album

di foto screziate.

Giorgia è tornata all’aperto.

E’ stato un giorno di veglia

e di Capricci di Paganini.

 

 

25

 

E’ stato il noumeno della vita, Mary,

a cambiarci il volto,

il 21 marzo di ogni primavera,

il ritmo dell’hukulele di Israel Kamakawiwo’ole

con Over the Rainbow.

E  ora siamo qui a discutere su ciò che è stata

La  Saison  en  enfer,

quel  rimettere i vestiti nell’armadio,

perché finita è la stagione,

cercare  i fantasmi  del passato

senza sapere dove.

Poesia di fotoni,

con le apnee  notturne,

e  il Clenil  sul comodino,

per aprire nella notte gli alveoli dei polmoni.

Neanche l’aria prova a restarci dentro;

e  ho ricalcato  i passi dell’infanzia

nel borgo di via Grossetti,

dove  tutti se ne sono andati:

Marco, Andrea, Marisa.

E ad apparire sono i panni dai balconi,

l’erba di Stonehenge.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

26

 

Volò  il gheppio dalla piramide.

Un mite inverno portò strisce d’acqua.

Flores rimase poco più di un mese a Katmandu.

Conobbe il palazzo di Bhaumasura

e la strada per Pechino.

-Ha poca importanza, Mister Kleen,

dipingere il mondo:

è già tutto un arcobaleno.

-Se viene a Pisa o a Firenze,

vedrà più di un colore-,

disse il direttore d’Arte Moderna.

Franz Hline con Figure Eight del 52

ha esaltato il nero con fondo bianco su tela.

Qualcuno deve aver avvisato Marceline

se  il porto  era  aperto.

I fiori più belli  sono stati quelli di Ingrid

quando  partì  l’hovercraft.

 

-Vengo da Orione-, disse un omino

con ali di condor.

-Vi porto le chiavi del mondo-.

Giusy ha studiato a Oxford.

Ora vende case e giardini.

Ma non è più come prima.

C’è sempre qualcuno

che le racconta storie di hinterland.

Fu Emerson a rivelare la stanza di tortura

della castellana, prima che facesse buio

e tornassero le colombe sulla city

a ridare pace e riposo alla sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27

 

La casa risaliva agli anni 40.

Rividi le mura,

le piastrelle divelte,

il rosso-cupo della camera di Fred.

-Qui non c’è più nessuno-, disse un passante.

Su un gradino ricomposi nomi e volti.

Misurai il tempo  finito e non finito,

andando per attimi e quanti.

 

Non bastò ricucire il tempo perduto

con l’odore di prugne nel bosco.

Passavano i camion

come fossero Pony Express.

Gli inverni coprivano di neve porte e finestre.

La famiglia Ruggieri aveva un negozio

di tessuti Prada in città,

e tante matrioske negli scaffali.

 

Zia Evelina ci salutò con affetto

prima di lasciare ogni cosa.

Così  decidemmo di non dire nulla

alle foglie d’autunno.

Ha ottantanni e anche più la tartaruga

come l’età della Signora Gilford

che ogni tanto legge The Back Country di Snyder.

 

La storia finì in un battito d’ala.

Non so se fosse flash psichedelico,

o un viaggio à rebours tra passato e presente:

riverberi di specchi nel cupo fumè del giorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28

 

Il Dialogo fu di breve durata.

La signorina Odette si fermò alla Carnegie Hall

per la Symphonia Domestica di Strauss.

Aspettammo  l’ora sesta

mentre usciva dal nido il passero in libertà.

La ballata di Anuck si protrasse fino all’alba.

 

Al palazzo reale vennero  turisti.

Due sudditi si prostrarono

davanti alla regina dicendo:

-queste sono le nascite di oggi

e  le morti di domani-.

Una preghiera fu detta dopo il diluvio.

Ketty lasciò sul tavolo vin brulè

ai viaggiatori dell’aldilà

come se fosse il 2 novembre.

Nonno Vincent

aveva uno strano  modo di chiamare Violetta:

batteva la gruccia sul parquet.

 

A nulla è servito il canto dell’oratorio

a frenare l’ira del mese.

 

Il dialogo fu ripreso con padre Milton

ma senza voli nel cielo.

 

Quando Merrill parlò dello spettacolo,

c’erano mille cose  ancora da fare.

Karima non ha più aritmie al cuore,

ma teme di perdersi nel deserto

come il Piccolo Principe.

 

Denise mi scrive che sarà a casa ad aprile

quando si dissolvono le nebbie su London City.

Lei sa che non aspetto  nessuno,

ma se torna sarà come  la rondine a primavera

sulla gobba dell’arcobaleno.

 

 

29

 

Ci sono miracoli che non vedi.

Le  lancette a mezzanotte.

Ti fermi e guardi il mondo scorrere.

Piccoli prodigi portano le ore.

I giorni di febbraio, sempre più corti  e amari.

E  poi uno gli vien da dire perché siamo qui.

A Vienna Sigmund trovò la via.

Le  mazurke d’Europa.

Sempre viaggi nei giorni dell’anno.

Fuori di casa, qualcosa verrà:

cadeau o memorie d’amore.

 

La pittrice Veronica Asmund

ricorda i colori di De Kooning.

L’unica cosa che piaceva a nonna Eliodora

era un collier etoile de Paris,

ma quando venne l’ora  di uscire dal ghetto

volle leggere Lady Lazarus,

prima di inoltrarsi nel bosco

di ortiche e rose di maggio.

 

Lucy, attenta agli oroscopi,

seguiva il segno del Capricorno.

Per due mesi raccogliemmo gambi d’avena.

Marisa aprì le imposte,

donò la vecchia Singer a una  ragazza del borgo.

-Resterete qui con la polvere della  terra-,

sentenziò una voce.

 

La notte ha mille ragioni per celare i segreti.

Tornammo al passato,

alle strette del cuore di Lady Caudilla

e a tutte le preghiere nel Coventry House.

Pensa tu, a ritrovarci domani

nel giardino delle mimose!

 

 

 

 

30

 

La malattia era da tempo un serpente boa.

Hellen vedeva il mondo a doppia rifrazione.

Ieri occhi azzurri hanno incontrato la primavera

e a Green Village, per fortuna,

i crickets cantano ancora.

Un day Hospital da dimenticare con tutti quei visi

cui avrebbe fatto bene un po’ di sole.

Questa volta parleremo chiaro con Buttler

di non darci più le griffe truccate

quando sarà l’ora del viaggio.

Questo è il secolo che non perdona.

Si, leggo Eliot e Marlowe e tanti libri di anime pie.

Il paradiso, se qui c’è, è una conversazione galante

con Kelly e la sorella di Webster.

 

Sulla chioma dei pioppi la neve era già sciolta.

C’era sul comodino un vaso di gigli e di rose scarlatte,

un abat-jour con lampada Led.

La voce di Tommy sembrava uno squittio nella stanza

come di un falco pellegrino.

Il Bacio di Klimt stava in biblioteca,

la sabbia sul viso del Caravaggio.

Uno spleen scendeva sopra le case.

Rividi  l’infanzia, le foto di Humphry e di Elisabeth.

-Non voglio bruciarti standoti accanto-,

confessò Hellen.

Le accarezzai il viso, le tolsi il fondotinta dermablend.

Giocavo col pensiero, giocavo

come i fanciulli del Vieux Chateau finiti nel fango.

-Ma guarda un po’- disse  la volontaria del Saint Club.

-Anche ieri non ha mangiato.

A volte, non respira, dorme-.

Allora Jasmin cominciò a scrivere, e prendere appunti,

si rivolse al custode del Cielo, ma era chiuso il castello.

 

 

 

 

31

La nebbia che vedesti

celava i portali di Villa San Giovanni.

Fissarti stava nel potere dell’iride,

arrossata dai pollini d’aprile.

Più del passato ti inasprisce ora

il turbinio del vento.

Si va sui binari

colmi d’erba e di sterpaglia.

Ha ragione Marcus

quando dice che il tempo non ha più spiagge.

 

Arrivi anche tu a questa riva,

né io so condurti al vecchio faro.

La tempesta ha lasciato ruderi

sull’isola di Crusoe.

Pochi anni e non so più come salvarti

dalla voce che ti chiama.

 

Veronica mi guardò

invitandomi ad un cocktail party.

Parlò di Madhvan Muni e di Balarama.

Non dissi nulla, attento ai labrador.

Lei  lasciò la torcia. Tornò il buio.

-Seguimi- gridò. E fu tutto un tacito andare

con le cose del bivacco.

-Non abbreviare  il tuo viaggio-,

farfugliò  la sensitiva

con la carta dell’impiccato.

C’erano nella garconniére

una  custodia con sette spade,

uno spartito di Handel,

due o tre coppe di Jack Daniel’s.

-Anche lei è della confraternita?-,

chiese la bionda norvegese.

Judith non sapeva che rispondere.

Il giorno dopo ci fu un viaggio allo scoperto

e una lezione alla Bernard School.

A sera, Padre Stone preparava Giselle

per le nozze di settembre.

Questo lo può dire, Signor Brandberg,

se prendendo il largo ci sono ancora

piranha e squali.

La signorina Elliot rifece il letto,

cacciò i sette peccati capitali.

Non si sa più nulla di tutta la polvere caduta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

32

 

Un leggio senza spartiti per pianoforte e orchestra.

Il cruccio di Donovan dopo il gioco delle tre carte.

Il giorno che finisce, occhi asciutti e nessuna luce;

ma tutto il cottage non regge: tutta la vita, Hayden!

Ci  batterai la testa, sarà  come il rubinetto che cola,

il Circolo di Warren Daddy sempre chiuso.

Una Signora  con steli di dalia e pause di respiro

si fermò su per il colle e giù per la King William Street.

Il tempo fa rapine, agita le clessidre.

Miss. Lory segna chi va e chi viene,

aggiorna  il calendario mentre l’anno se ne va.

Si cambiano gli almanacchi.

 

C’è un raduno in Piazza Oberdan.

Uno di sinistra, uno senza bandiera  e slogan

legge la Steppa di Tarkowskij.

Un campesino aspetta il suo turno.

 

Ce ne andiamo tu ed io

lungo la strada per Guildford

a cercare Jabberwochy

tra gli squarci della giornata

e il fumo dei bistrot.

 

Tornarono gli amici del Delaware

a rinnovare febbri di tristezza,

sotto la balaustra dei ribes di settembre.

Mai più di un giorno sono stato nel Kentucky,

qui la vita si è fatta già discesa.

Fu il grande Slam

a portarci al Being myself della Navratilova.

Il passato, se lo incontri, è una ringhiera

dove non irrompono i mulinelli d’acqua

e si recita a soggetto Maurice Bejart

sotto il poster color lumaca e old time.

 

 

 

 

33

 

Una  collina a due passi dal cielo.

Pochi alberi sulla scogliera e kayak alla riva.

Passa il giorno staffetta.

Ma  è Amy che trucca le carte.

E’ Amy che scrive di cieli sereni nei suoi poemi.

Dondi vende parcheggi.

Nei suoi depliant ci sono quadri

e fioriere con gigli e tulipani.

Si, è Pasqua, veniamo a trovarvi

mie care ombre lontane,

lasciate anche a noi un piccolo spazio.

 

Alle Molinette rimanesti un mese Dorian.

Prima di Ravenna non c’erano stanze dove fermarsi.

La porte étroite si apriva e chiudeva.

Da un giardino venivano e uscivano angeli tristi.

Cadevano cetre senza più corde.

Una sera il figlio di Lara tradusse Triperuno in inglese.

Non dirlo a nessuno, Margareth,

se il vestito di Sammy non era adatto

per i campi del cielo.

Smettila di stare alla finestra a guardare se passa Willy.

A Blondy non diremo nulla che possa irritarlo:

neanche se le ombre della mente

col tempo diventano grizzly.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

34

 

Tornammo alle idee. Fummo un solo centro,

un unico soffio di mistral.

Vennero turisti dall’aldilà,

senza fiori e trolley da viaggio.

Mary offrì dolci. Chiese notizie.

Offrì agli ospiti crema Chantilly.

Poi domandò:

-How long they were there?-.

Un gentleman, già in partenza su vaporetto,

e la luna sotto il braccio:

-Sono anni- disse,- che nella terra riposiamo.

Abbiamo conosciuto Oxford e Lisbona,

e Potsdamer Platz,

visitato il Museo Castillo di Dalì,

puliti i chiodi del Crocefisso,

sentita la Sinfonia n.6 di Beethoven

diretta da Janowski-.

 

Oggi, il mio pensiero è ritrovarti

come la ragazza bruna ritta

vicino a una barca a remi sulla riva del lago.

Hai rimosso le coperte,

tolto il blazer di Crizia,

pure l’aria risale le scale.

E’ tempo di superare il check-in,

fuggire dal cappio che stringe la gola.

 

Madame Sorius capovolse la clessidra.

Parlò di oroscopi.

Un Tutankhamon alle spalle

sussurrò che Aprile era vicino.

Per credere al domani

dovrò ascoltare ciò che mi dice la primavera.

Il palco all’aperto aveva già il giravento.

 

 

 

35

 

Il campo all’aperto offriva orizzonti.

Scorrevano fiumi e quotidiani delitti.

Benny pensava ai giardini pensili.

C’era chi attendeva i portatori d’acqua e di caffè,

chi scriveva epitaffi sulle pagine di Carver.

-Difficile, Mister Swanson, passare per Dresda

e Muhelberg. Non ci sono voli sicuri,

né oggi, né domani. Sorry!-.

 

Lady Marina veniva da Londra

con un volo della Lufthansa,

dopo aver lasciato fiori

a Patsy O’Hara e a Novodevichy.

Lucy aspettava la pioggia

leggendo l’Handelsblatt.

Restava la collera di Baldus

tradito  dall’Acquario.

Io, che rimasi nel tuo cuore, Milena,

mi dolsi della fuga della mulatta dell’Ecuador.

Oh mia vita, non ci sono anfratti

per sfuggire ai  tulipani!

 

Oggi Dory, ha lasciato il Dio di Menen

per restare sola e senza preghiere.

-Vi  incontrerò  domani nei quartieri alti della città

per ascoltare  i vostri dolori-,

confessò Patrick. E  c’era chi voleva vedere

la casa di Aldibrandi salvata dalle acque.

Natanilova  è graziosa, ha un accento russo marcato

e legge pagine  da: Una giornata di Ivan Denissovic

di Solzenicyn. Sostituite le vecchie lampade al neon,

ora la casa è chiara  e ospitale e nessuno

pensa più al passaggio sul Nilo e ai fiori per Shiva.

 

 

 

 

 

 

36

 

Risalimmo il fiume salvato dal garbino.

Un’eco  venne dai colli di Ripamonte.

Nostra fu la diaspora nella sera.

Si diceva del bene di Jèrome:

ma era solo un non ti scordar di me

per Monnalisa e la troupe del vintage.

Il resto lo fece una parafrasi di Corneille.

 

Nicole invitò figuranti e partigiane

nell’atto unico di teatro:

un souvenir per Primo Levi

in Se questo è un uomo.

 

La polvere stava nel cavo della  mano,

come la sabbia nel fondo della clessidra.

Manuele era fuori dal turnover.

Qualcosa passerà dal filamento

alla cruna dell’ago.

 

Inutile parlare di Shakespeare.

Ma  Carol  ha voluto visitare Stratford

e poi Mont Blank e il lago di Windermer.

Si portava dietro il fantasma

di Anne Hathaway e di Julius Caesar.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

37

 

Passò l’equinozio.

Lo zio di Roberta  propose: La vita interiore.

Nel quinto giorno della settimana

venne il freddo più crudele dell’anno.

 

– Lei è il primo signore che ha chiesto la creme brulée-.

Fuori c’era un’autopista che portava chissà dove.

Credimi quando ti dico di aver  letto Our Afterlife

e  i  Cantos di  Pound.

Il custode della biblioteca

non aveva negli scaffali il libro della memoria.

Sarebbe bastato il collo di una giraffa

per vedere oltre le vette il giorno che muore.

 

Carla domani non verrà per il bridge.

Ha una tesi su Le donne in provincia.

Che altro ha da dire il pappagallo peruviano?

Geltrude entrò in una clinica

con il codice rosso e qui vi rimase.

Bresson rifece l’Arte con le fotografie.

In silenzio uscimmo dal giro

senza ascoltare  i crickets.

Lady Speranza aveva un vestito di tessuto greenlife,

oltrepassò il casello di guardia

lasciando nome e indirizzo

per una Conversazione Galante,

prima dei gironi ardenti

e delle parole di padre Brown.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

38

 

La Convention a Portogruaro

sul ruolo “de la Critique Littéraire”

dans les cultures minoritaires”

legava i giorni dell’autunno alla tua vita.

 

Il ricordo è ancora fisso negli occhi.

 

Resta intatta la selva oscura.

A pagina XLV della letteratura in disuso,

c’è un racconto  misto di favola e realtà.

 

Hanno ripescato il corpo di Daniel.

Ma per uno che non lascia traccia di sé la notte

è come uscire indenne al mattino.

 

C’è un dipinto con cornice nera.

Un altro colore è possibile,

anche se parlare con Frank ed Elisabeth,

allontana i pensieri su alcova e movida.

 

Siamo stati vicini a Virginia. Tutta la sera.

Un’ombra si aggira  nei quartieri.

Sembra Madame Droupet:

ma la morte è una diceria.

A Plaza de Majo ho incontrato Borges.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

39

 

La casa  aveva gli  infissi  Salamander

senza più spifferi e zanzare:

è  stato come tornare

a un vecchio amore del passato.

 

Ho ritrovato il presepe,

la sala da pranzo

e l’orologio a pendolo,

e di lato, il camino dove la befana scendeva

nella notte più silenziosa dell’anno.

Celine ha lasciato violette sul bonheur du  jour,

senza più  tarli.

 

Mi ritrovo ora a far da guida,

come in un racconto di Melville,

per dire che i pilastri reggono bene.

Qui  hanno lasciato le tracce

Ernesto e Clarissa, Joseph e Astolfo,

e chi guardava la luce oltre il tramonto.

 

Ciò che ci salva

è l’odore di piante al mattino,

non il coro delle oranti la sera,

in ginocchio come per un perdono,

in questo declino d’anni

che fa di ogni giorno un’allodola di pensieri,

senza abbaini nel soppalco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

40

 

Accedi alle vigne

nell’ora in cui matura il mosto

in questo ottobre di pop-dance

lungo la Senefelderplatz.

 

Tu respiri sotto la pioggia

il profumo delle miosotidi.

 

Torna il tempo delle clessidre.

 

La vita è ancora un viaggio.

 

Duccio non si è più ripreso

dopo la morte di sua madre.

Avevamo un appuntamento con Clarissa,

ma non è venuta.

 

Vuoi parlare? Dire qualcosa?

-Si. Mi piace  guardare Annalisa

e  il suo viso con sottofondo Rimmel.

Con i tempi che corrono

anche un ghepardo si fermerebbe nella corsa.

 

A volte mi vedo su navi veloci.

La fortuna è avere un’idea

fuori dal tempo: lupo mannaro.