LA CASA DI OLGIATE – EUGENIO MONTALE

 

La casa di Olgiate
(Mondadori, a cura di Renzo Cremante e Gianfranca Lavezzi, 2006).
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In quel tempo era ancora vivo
il piccolo Tonino nella casa
alta sul cavalcavia.

Io la vedevo, la casa, dall’autostrada,
ignorando te e lui: non mi balzava
il cuore come adesso.

L’ignoranza
mia occultava l’avvenire, il fil-
di-ferro del domani, là giunti, si troncava.

V’entrai molti anni dopo
(il bimbo era morto da tanto,
sussurrando”mi duole per te, mamma”),
conobbi l’orto, il giardiniere, il tuo
boudoir di diciottenne, disammobiliato,
l’impronta appena visibile di un cerchio sul muro –lo specchio-,
e non potevo parlare.

Tra quelle stanze
una parte alitante di te mi bastava.

Il trillo del tuo cardellino più tardi si spense
all’ombra del giglio rosso da me lasciato.
Famelico delle tue tracce mi affaccio su rettangoli
di verze, su cespugli dalie impolverate,
e il vecchio custode mi segue, più inebetito di me
nei corridoi, nel solaio mentre dal basso giunge
un crepitare isocrono di macchine,
ma non bava d’aria nell’afa.

Così i destini s’annodano, mia tigre, e intanto tu
dietro le lenti affumicate spii
nugoli pigri e sull’Olona putrido
l’efflorescenza dei disinfestanti.

Si snodano i destini.

Mai da me intraveduta,
la tua casa friulana ora s’allarga
nel desiderio, l’aia dove incontro al futuro
irruppe la tua infanzia, e già volava.

Eugenio Montale


COMMENTO DI MARIO M. GABRIELE

Poesia che resiste nel tempo e ad ogni attacco della critica underground.
Le nuove generazioni poetiche dovrebbero partire da qui e poi irrobustirsi con la lettura  dei testi   di Sanguineti, Fortini, Lowell, Eliot, Milosz,  Frost, Ginsberg,
e via dicendo,senza preparare polpette linguistiche, prive di senso  col solo scopo di apparire sui Blog, con proposizioni  formali inattive,declassate dal linguaggio disoperante,  sclerotizzato. Siamo veramente in una ideologia poetica ai margini della accettabilità,  con una sintassi poetica  che crea problemi nella comunicazione
e nella serietà della poesia.Di tutto il Novecento poetico, salviamo solo il salvabile, senza resuscitare i morti già colliquati, o riproposti per una nuova pseudoresurrezione ingiustificata sul piano estetico.

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