DISTICI , DI MARIO M. GABRIELE, DA REGISTRO DI BORDO

Cari Amici,

oggi, 15 giugno 2019, la Redazione  napoletana del quotidiano  LA REPUBBLICA, ha scelto uno dei miei tre distici, inviati per la pubblicazione nella Bottega della poesia, diretta da Eugenio Lucrezi, con un suo succinto e interessante commento. Qui ve li riporto, in modo da poter visionare la pubblicazione e leggere i tre testi integrali. Ringraziandovi della vostra attenzione, vi saluto cordialmente.

1  (Polittici)

Mi perdoni, Signora Swanson!
Non volevo toglierle il clip dalla memoria.

Alle cinque Lola vola via.
Watson la segue con l’ombrello di Mary Poppins.

Il cielo questa mattina era così triste
da lasciare acqua -fontana nei giardini.

E’ stato un lavoro delicato,da peritropé,
con aghi e fil rouge.

Pound ha provato a rimettere le scarpine.
Non credo voglia fare  jogging.

Si inasprisce l’aria di mele guaste.
Gli occhi della Signora Rowinda non incantano più.

Le distanze non sono mai parallele
neanche a leggere Postkarten.

Con la tua mente puoi andare oltre il buco nero
a sintetizzare l’universo con un Haiku.

Non regalarmi Gilet.
Se ci riesci, portami le ossa di Rimbaud!

Oh, Mon Dieu! Quanti Woodoo e streghette
tolgono il profumo ai fiori di Bach!

Ci pensavo da due giorni. Questa sera vado da Ilena
e le dico di considerare la sera come il mattino.

-Abbiamo una squadra sul Calvario-, disse il Governatore.
-Basteranno  due o tre chiodi per muovere il cielo!-

L’autopsia dirà chi ha ucciso la giovinezza
e in quale Ambasciata si è rifugiato l’assassino.

Ti assomiglia in positivo la gardenia.
Possibile un trasloco nell’anima.

Larry si diverte a disegnare cartoline Christmas.
La roccia non ha muschio per il presepe.

(…)

Abbiamo chiesto strofinacci per il passato.
Il tempo resiste ad ogni attacco.

Il dado si fermò sul rosso.
La memoria è un ammasso di rottami.

Diletta da Rotterdam sostò un mese
nella Episcopal Church a parlare con gli angeli.

Michael Rottmayr è con Abele a Vienna
nella Osterreichische Galerie.

Nessuno sa quanto tempo resteremo quaggiù!
Hai visto come si sfolla il quartiere?

Il decano di Amburgo ha letto le terzine di Frost
per la conoscenza della notte.

Dormi se vuoi, così ti abitui alla morte.
Adam tornò a rivedere la barista di Fellini.

-Cara Denise, sono Duchamp  e mi piacerebbe
sostare con te nel soggiorno-.

Si scivola nel metrò.
Anche Malone muore, azzerati i mitocondri.

Oh, guarda qui, Mariette! Ci sono ancora le t-shirts del 68
e una retrospettiva canora di Bessie Smith!

Le croisette de Paris nei galà dello chateau
scambiavano l’omelette per il sushi!

Chi lasciò la parola si avvicinò al Verbo
chiedendone una nuova.

Madame  O’Brian mi fa compagnia la notte
in quel dolce paese che non dico.

Milena scrive da Harvard:
-neanche qui abbiamo trovato Nonna Eliodora-.

Caro Signor Bernard, spero di essere stato chiaro.
La sirenetta di Copenaghen è una donna di incontri e reviews.

(…)

Che sappiamo del Galateo in bosco?
Poesia. Zona keep out!

A Frankfurt  am Main ci siamo fermati
a comprare le affinità elettive nello Skyline.

E’ destino che non ci si incontri mai.
Eppure oggi c’è il cambio di stagione!

Abbiamo trovato serpenti nel giardino.
Lucy mi volle con sé a cercare l’erba sotto la pietra.

La stanza accumula fumi, appanna lampade e vetri.
I miei morti sono quelli che non ricordo.

Miss Olson non è più tornata tra noi.
Le abbiamo mandato una chiave. Lei sa come aprire la porta.

Chi apprezzò la sera amò anche il giorno.
Il lupo è sotto le mura. Attenta, Signorina Rosemary!

Magda von Hattingberg scrisse a Rilke:
Caro Amico, ho scoperto la Storia del buon Dio-.

-Mister Gruman- disse un bodyguard,- la folla è alle porte!-.
E Gelinda dal balcone  che gridava:- dillo a me il tuo peccato-.


Giudizi critici

Compito del poeta è convocare le babeliche folle, testimoni del tempo, trasformarle da ammassi di detriti in figure espressive, tentare l’impossibile dialogo. Risulta un corso inquietante(Eugenio Lucrezi, da La Repubblica – La bottega della poesia, Redazione di Napoli, sabato 15 giugno 2019)

*

Mario Gabriele è il poeta più innovativo che abbiamo in opera in Italia, ha fondato un nuovo paradigma, ha alzato l’asticella delle difficoltà della poesia italiana ad una altezza per gli altri inarrivabile, per tutti coloro (una massa amorfa e sterminata) che continuano a fare poesia della confessione dell’io e ad osservare le stelle, nonché le targhe delle macchine… ”  (Giorgio Linguaglossa, su L’Ombra delle parole)

*

Il distico impiegato da Mario Gabriele riposa sul parallelismus membrorum, ovvero su due proposizioni «baciate» che esauriscono la loro funzione nel punto che contrassegna la fine di ogni distico. È all’interno del distico che si sprigionano le forze telluriche delle singole proposizioni le quali, prese ciascuna per sé, non significano assolutamente nulla, tuttavia sembrano avere «senso». Ma noi sappiamo che il «senso» è una categoria di matrice religiosa, e un poeta esperto e smagato come Gabriele non cadrebbe mai nella trappola di fare una poesia del «senso», Gabriele apre il distico dall’interno come una scatoletta di tonno sott’olio, mostrandone la vacuità dell’interno fitto di rotelline semantiche che girano a vuoto.

Il poeta di Campobasso mette una volta per tutte la parola fine alla poesia del «senso» e alla poesia del «non-senso», alla poesia della tradizione e della anti-tradizione, la sua operazione culturale è chiarissima, lampante, non può esserci il minimo dubbio su questo aspetto. Giustamente un lettore ha scritto che dimenticava i versi di Gabriele subito dopo averli letti, senza rendersi conto che proprio questo è l’intendimento del poeta di Campobasso, posizionare il suo discorso poetico al piano zero della significazione e del «senso», ma questa operazione Gabriele la fa senza ricorrere ad artifici tecnici o metrici, o a sperimentalismi ma semplicemente mettendo in distici regolari le forze versali che confliggono con quella gabbia metrica e formale e che confliggono e friggono anche all’interno di ogni singolo verso. Repetita juvant.

Gabriele ad ogni distico accende la miccia, provoca di continuo, ad ogni accoppiamento versale, un anatocismo semantico, lavora per agglutinazione e aggiudicazione di strati di un linguaggio ridotto allo zero del «senso» e del significato, obbligando il lettore a dimenticare subito dopo averli letti i suoi versicoli così sfacciatamente ordinati da sembrare edulcorati e perbenisti. Paradosso nel paradosso! Forse, non c’è poeta in Italia che al pari di Mario Gabriele si è impegnato nei suoi ultimi cinque libri ad un lavoro di così meticolosa e drastica distruzione di tutto ciò che meritava di essere distrutto e affondato.

Certo, dopo questa operazione, si dovrà pur ricominciare da qualche parte, si dovrà pur riprendere qualche lembo della matassa e ricominciare a tirare il filo, ma è che in questi ultimi anni sono venute a cadere tutte le categorie ermeneutiche che presiedevano il facere della poesia italiana, che si può racchiudere in una formula semplice semplice: la poesia italiana in tutti questi ultimi decenni è rimasta prigioniera di una concezione che intendeva il discorso poetico come discorso ordinato, rappresentativo, ragionevole, sensorio e sensato. Ebbene, Gabriele ha mostrato una volta per tutte, se ce ne era bisogno, che tutta la antiquata impalcatura retorica e ermeneutica era aria fritta, si era liquefatta, che quelle categorie erano diventate liquide e si erano sciolte al sole d’agosto dell’epoca della stagnazione e della grande recessione. Alla recessione stilistica Gabriele ha risposto riposizionando in alto l’asticella della forma-poesia, talmente in alto che la sua poesia sembra pervenuta direttamente da Marte o da qualche esopianeta, tanto è lontana dalle fonderie della poesia italiana di oggidì.

Gabriele porta alle estreme conseguenze la de-materializzazione del linguaggio relazionale, fenomeno che ha avuto luogo in questi ultimi decenni nel nostro paese fino al punto di non ritorno, svuota il di-dentro delle parole e delle singole fraseologie accostandole per contiguità e per metonimia, mostrandone l’intima in-significazione, mostrando che ciò che appare è il linguaggio de-materializzato, ma che anche questo apparire è in-significante, cioè non ha alcuna relazione viva e vitale con le persone vive, in carne ed ossa che abitano il mondo.
Gabriele mostra che se da una parte il linguaggio non esiste come ente distinguibile, o meglio separabile da ciò che esso significa, mostra anche che non esiste nemmeno come ente distinguibile dalla coscienza che lo pronunzia. Cioè il linguaggio, e il linguaggio poetico per eccellenza, si trova tra due «in-significanze», tra due nullificazioni della significazione, mostra il vuoto della significazione. Il fatto che il lettore dimentichi subito dopo averla letta una poesia di Mario Gabriele, dal mio punto di vista è il più grande riconoscimento di valore che si possa attribuire a quella poesia, si tratta di una poesia che porta alla massima evidenza il processo (storico, sociale) di de-materializzazione dei linguaggi nel nostro mondo storico, empirico… la intrinseca insignificanza di tutti i linguaggi storici dell’agorà mediatica. (Giorgio Linguaglossa, su L’Ombra delle parole)

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